La carta finale dell’orso sanguinante

Marta

Ottaviani

Il presidente russo, Vladimir Putin, è pronto a calare la carta finale, ossia la mobilitazione generale, ignorando che si tratta di un punto di non ritorno non solo per il suo Paese, ma anche per la sua stessa permanenza al potere. La Duma ha approvato una serie di emendamenti al codice penale che puniscono in modo più severo la renitenza alla leva e la resa volontaria. Nelle Repubbliche autoproclamate di Donetsk e di Lugansk, nonché nella regione di Kherson, dal 23 al 25 settembre si terranno referendum per l’annessione alla Russia, che sono già stati bollati come una farsa dalla comunità internazionale e che innalzeranno inevitabilmente il tono dello scontro. Ma sembrano le ultime zampate dell’orso russo che, ferito e sanguinante, non riesce ancora a capire che per lui è finita. Il parlamento ha votato gli emendamenti a grande maggioranza, ma negli ambienti del potere, stavolta ha contro tutti. Da almeno 10 giorni, le alte schiere dello Stato maggiore stanno dicendo chiaramente che la guerra in Ucraina è persa e che l’unica cosa che si può fare è limitare l’azione della controffensiva di Kiev. La governatrice della Banca centrale russa, Elvira Nabiullina, economista di fama internazionale, in un faccia a faccia con il presidente ha ricevuto istruzioni per preparare il Paese finanziariamente al nuovo scenario. Ha cercato di opporsi, di farlo ragionare, ma non c’è stato nulla da fare. Ieri alla notizia dei referendum la borsa di Mosca è crollata. Putin ha contro, per motivi diversi, anche Cina e Turchia, due dei Paesi che partecipano all’ordine mondiale alternativo all’Occidente, ma che non vogliono farsi trascinare nel pantano ucraino. Il presidente sembra essere determinato ad andare avanti da solo. Ormai per lui è una questione principio, una lezione da dare a tutti. Ma è un leader che ormai ha perso il contatto con la realtà: per lui le pianure dell’Ucraina rischiano di trasformarsi in sabbie mobili.