Mercoledì 24 Aprile 2024

La campagna dem "Che ci frega di Calenda" S’è ristretto il campo largo e Letta si butta a sinistra

Il segretario Pd è rimasto solo con la premiata ditta Fratoianni & Bonelli. E per sfidare ‘‘Ivan Drago“ Meloni, indossa i guantoni di Rocky Balboa. Ma nel partito pesano i silenzi di chi era a favore dell’alleanza con Azione

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di David Allegranti

Tesoro, mi si è ristretto il campo largo: "Ho ascoltato Carlo Calenda. Mi pare da tutto quel che ha detto che l’unico alleato possibile per Calenda sia Calenda", si lancia Enrico Letta, dopo una settimana laboriosa a cercare di tenere insieme quel che non si può tenere: Pd, Azione, Sinistra Italiana, Verdi, Luigi Di Maio, Emma Bonino, Laa-Laa dei Teletubbies… "Calenda può stare, secondo quello che lui stesso ha detto, solo in un partito che guida lui, in una coalizione di cui è il solo leader e in cui non ci sia nessun altro", aggiunge il segretario dei Democratici, accusando in sostanza il segretario di Azione di fare quello che bramava il Pd ai tempi della vocazione maggioritaria. Ma quella è roba troppo vecchia e troppo veltroniana, adesso è tutto un mulinare di campi (non da arare) e di intersezioni sinceramente democratiche. Dunque il segretario del Pd è rimasto solo con la sinistra. Calenda d’altronde era indeciso a tutto, ma non a confondersi con chi ha sempre votato la sfiducia al governo Draghi, è contro i rigassificatori e contro l’invio delle armi in Ucraina (e, nel caso di Nicola Fratoianni, segretario di Articolo 1, con chi è contrario anche all’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato).

Letta dunque resta in compagnia della premiata ditta Fratoianni & Bonelli e si prepara a lanciare il patto in difesa della Costituzione contro “le destre”, come amano dire i soliti Goffredo Bettini e Nicola Zingaretti, quest’ultimo pronto a candidarsi in Parlamento. Quelle destre, spiega Letta, che vogliono riscrivere la Costituzione (come se il Pd non avesse votato a favore del taglio del numero dei parlamentari, ma in questo caso valgono le prime due regole del Fight Club: "Non si parla del Pd"; "Non dovete mai parlare del Pd").

Finisce così l’idea di una coalizione riformista, “liberal-progressista”, come la pensava Calenda, con il Pd, Azione e +Europa: il Pd approda a un assetto politico-elettorale che con l’Agenda Draghi ha pochissimo a che fare, per la felicità di Andrea Orlando e Peppe Provenzano. "A partire dalla giornata di oggi, dobbiamo avere gli occhi di tigre. Nei momenti che passerete alle nostre feste, che sono tantissime in tutta Italia, comunicate con gli occhi di tigre ai militanti", aveva detto qualche giorno fa il segretario del Pd, citando Rocky, pronto ad affrontare soprattutto Giorgia “Ivan Drago” Meloni ma ora anche un ipotetico Terzo Polo. Alla coalizione di Letta manca il centro e checché se ne dica difficilmente potrà essere Di Maio il campione del centrismo democratico. Doveva essere un “campo largo”, Letta si dovrà accontentare di un camposanto.

Ma nel Pd sono tutti d’accordo sulla linea anticalendiana? A leggere le dichiarazioni a tambur battente che escono (da Orlando a Goffredo Bettini), pare di sì. Eppure sono i silenzi la parte più interessante, specie di chi si era rallegrato per l’intesa con il segretario di Azione; prendiamo quelli di Andrea Marcucci, il cui account Twitter è fermo al 3 agosto con un cinguettio sull’incapacità del Parlamento di legiferare sul fine vita. Sull’accordo saltato Pd-Azione, invece, niente di niente.

E il centro, appunto? Matteo Renzi è sempre pronto a dare vita all’alleanza lib-dem, alla quale ha appena detto sì Federico Pizzarotti con la sua Lista Civica Nazionale. "Tra tante difficoltà, internazionali e domestiche, ora è il momento della Politica con la P maiuscola. Abbiamo una opportunità straordinaria", dice l’ex presidente del Consiglio. C’è però il solito problema, per Renzi e Calenda: troppi galli in un pollaio difficilmente possono stare insieme.