La bimba morta di stenti "Lasciata sola altre volte" I pm: madre senza scrupoli

Interrogata la donna arrestata per l’omicidio volontario della figlia di 16 mesi. Alterna lucidità e freddezza. "Pensava a divertirsi e abbandonava la bimba a casa"

Alessia Pifferi, 37 anni

Alessia Pifferi, 37 anni

di Anna Giorgi

e Nicola Palma

Scontata la convalida, che sarà ufficializzata oggi dal gip Fabrizio Filice. Alessia Pifferi, la mamma di 36 anni che ha lasciato morire di stenti la sua piccola Diana – di 16 mesi –, resta quindi in carcere, definita dal pm Francesco De Tommasi "pericolosa socialmente e capace di tutto". Alessia, che non voleva diventare madre, per gli investigatori non si è mai pentita dell’abbandono della piccola e ha accettato il rischio concreto che lei potesse morire lasciandola sola senza acqua e senza cibo.

Quando i soccorsi sono entrati nel monolocale di via Parea, quartiere periferico di Ponte Lambro, a Milano, la piccola Diana era su un lettino da campeggio: il corpicino inerme, stremato dall’afa, disidratato da una settimana senza acqua e in condizioni igieniche pessime, si era strappata il pannolino, che era lì, a poca distanza e pieno di vermi.

Il gip Filice ieri e il pm De Tommasi la notte precedente, durante l’interrogatorio, hanno cercato di ricostruire il puzzle della vita disordinata della Pifferi per capire cosa l’abbia indotta a compiere un gesto così disumano. Lo hanno fatto a fatica, perché la Pifferi alterna lucidità e freddezza a macroscopiche bugie sull’esistenza di una vita parallela in cui lei sarebbe una psicologa per bambini. Con una madre morta di Covid, in Calabria. La verità, almeno quella ricostruita nelle carte del tribunale, è invece quella di una donna che ha perso il filo della sua esistenza dopo un matrimonio naufragato e una gravidanza che, ha dovuto ammettere, non voleva. Non è vero che non si era accorta della bambina che aspettava: gli investigatori lo hanno dedotto dalle chat sul suo cellulare che hanno definito "interessanti" ai fini investigativi. Sempre dalle chat e dai social hanno dedotto che non era la prima volta che la donna lasciava sola Diana. Lo aveva fatto almeno altre tre volte, "per trascorre serate o giorni interi di svago con nuove conoscenze".

La donna non aveva un lavoro ufficiale, non lo aveva mai avuto. A gennaio del 2021 aveva partorito Diana nella casa dell’elettricista di 58 anni residente a Leffe, nella Bergamasca. Con lui aveva convissuto negli ultimi mesi della gravidanza, confidandogli che non avrebbe saputo dire chi era il padre di quella piccola. Il rapporto sentimentale con l’elettricista si era poi interrotto perché lei ad aprile, su Tinder, aveva conosciuto un altro uomo con cui avrebbe intrattenuto una breve e saltuaria relazione. Di lui però la donna – riferisce il pm De Tommasi – durante l’interrogatorio non ricordava il nome. La sua identità è stata, infatti, ricostruita sempre attraverso le chat e i siti di incontri.

A giugno la Pifferi aveva ripreso a frequentare l’elettricista di Leffe e con lui trascorreva i weekend in cui lasciava sola la bimba, raccontando di avere una baby sitter fissa, fino all’ultima settimana, in cui ha somministrato calmanti alla piccola Diana, le ha messo un po’ di latte nel biberon e l’ha lasciata lì, sola, a morire. Ha chiuso la porta di quel minuscolo appartamento in periferia per riaprirla solo sette giorni dopo e gridare di orrore davanti al corpo pieno di piaghe della piccola. Non ha nemmeno pensato di lasciarla alla sorella, che vive a cento metri dal suo appartemento. Nessuno faceva rete attorno alla Pifferi perché lei, nel tempo, si era allontanata anche dalla famiglia.

La mamma, che non era affatto morta di Covid come raccontava lei, ma si era semplicemente rifatta una vita in Calabria, era salita a Milano quando la figlia aveva partorito. Poi più nulla. E nel nulla di relazioni familiari, affettive, sentimentali e culturali Alessia Pifferi ha maturato questa atrocità.