Venerdì 19 Aprile 2024

L’uomo delle bonifiche: troppi lacci "Cantieri veloci, servono 11 miliardi"

Il presidente dei Consorzi: "Mettere in sicurezza il territorio costerebbe sette volte meno che riparare i danni". Preoccupa la fragilità dell’Italia. "I lavori finanziati spesso si bloccano. L’iter medio di un progetto è di 11 anni"

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di Giovanni Rossi

"Non è stata una bella giornata. Alle 9 di mattina ieri ero già là, nella zona di Nonantola, a valutare la situazione dopo l’esondazione del Panaro. Tutta quell’acqua andrà pompata, sollevata e ributtata nel fiume, 20-30 km più a valle del punto rottura degli argini. Ce la faremo. Perché abbiamo competenza ed esperienza". Francesco Vincenzi, 42 anni, imprenditore agricolo di Mirandola (Modena), è presidente dell’Associazione nazionale consorzi di bonifica e acque irrigue. L’esondazione vicino casa non lo distoglie dal confronto.

Vincenzi, gli eventi atmosferici estremi si possono combattere, o pagare un prezzo è inevitabile?

"Con 280 millimetri di pioggia in poche ore – dopo mesi di sostanziale siccità – i problemi sono comprensibili. Ma senza la nostra rete di canali consortili – e questo vale per ogni emergenza – le ricadute per i territori sarebbero peggiori".

Il meteo sarà pure un killer impazzito, però l’Italia sembra complice.

"Chiariamo subito. Gli eventi estremi colpiscono dappertutto. Anche Francia, Germania, paesi dell’Est Europa sono vittime di alluvioni e catastrofi climatiche con effetti pesantissimi. Ma l’Italia, per conformazione geografica, orografica e geologica, ha un territorio naturalmente più fragile. Dovrebbe quindi imparare a proteggersi meglio. Non sempre ci riesce e paga un prezzo altissimo".

Cifre?

"Investire in prevenzione costa sette volte meno che fronteggiare un’emergenza. Basterebbe capirlo per regolarsi di conseguenza".

Qual è un budget realistico per mettere in sicurezza il Paese dal dissesto idrogeologico? Ogni esperto dà i numeri. Stavolta tocca a lei.

"Con undici miliardi di investimenti il cambio di passo nella gestione dei bacini idrografici sarebbe sostanziale".

Se non ora quando?

"I consorzi di bonifica hanno progetti cantierabili ed esecutivi per 4 miliardi. È la nostra quota di Recovery Fund da destinare alle necessità dei territori. Tra il 2023 e il 2026 ci giochiamo un pezzo di futuro".

Come si fa a cambiare passo?

"Ci sono due livelli. Le scelte internazionali per non surriscaldare il clima; le scelte di autotutela dei singoli Paesi con una costante politica di manutenzione ordinaria e straordinaria".

Ma ci sono casi come quello recente di Bitti, in Sardegna, dove a sette anni di distanza dalla precedente calamità nulla era cambiato. Come può accadere? Dipende da conflitti di competenze?

"No, a livello legislativo il quadro è chiarissimo. Le Autorità di distretto pianificano, le Regioni programmano gli interventi d’intesa con i ministeri dell’Agricoltura, dell’Ambiente o delle Infrastrutture a seconda dei casi. Poi però i lavori finanziati vanno eseguiti. E qui l’attività talvolta rallenta o si blocca. Ritardi che non si verificano quando a operare sono i Consorzi di bonifica, che hanno al proprio interno tutte le competenze e le figure per gestire sia la fase progettuale sia la fase esecutiva dei lavori".

Metta in fila le priorità.

"Finanziare, cantierare, eseguire. E nel frattempo smettere di consumare suolo. Paesi assai più pianeggianti dell’Italia ne hanno fatto un caposaldo. Noi no. Senza capire che così aumentiamo l’esposizione al rischio idrogeologico prima ancora di aver tamponato le falle".

Ma il nodo in Italia non resta sempre il tempo dei cantieri?

"Sì, per questo è indispensabile accelerare l’iter realizzativo per le opere pubbliche che è mediamente di 11 anni. Un tempo che la velocità dei cambiamenti climatici non ci concede".