Giovedì 25 Aprile 2024

L’Italia dei processi senza fine Due agosto, in aula il ’quinto uomo’

Si riparte dopo 40 anni sui mandanti della strage alla stazione. L’ex Primula nera Bellini: "Io come Sacco e Vanzetti"

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di Nicola Bianchi

Quarant’anni e otto mesi dopo non è ancora finita. Manca l’ultimo pezzo di verità sull’orrore del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna quando 23 chili di esplosivo fecero 85 croci e oltre 200 feriti. Il più grave attentato terroristico italiano, secondo in Europa solo alla carneficina del 2004 alla stazione di Atocha, Madrid, 191 vittime. Dopo i Nar Fioravanti, Mambro, Ciavardini e Cavallini (i primi tre definitivi, quest’ultimo condannato in primo grado), ora tocca agli altri presunti responsabili dell’attentato e dei successivi depistaggi.

A partire dall’ex primula nera, Paolo Bellini, il killer di Alceste Campanile, accusato oggi dalla Procura generale di Bologna di essere "il quinto uomo" della strage.

Alla sbarra, nello ’strano’ processo iniziato ieri a porte chiuse per ragioni sanitarie e trasmesso in streaming, ci sono anche l’ex ufficiale dell’Arma, Piergiorgio Segatel (depistaggio) e Domenico Catracchia (falso ai pm), amministratore di condominio di via Gradoli a Roma, covo prima delle Br e poi dei Nar. "Sarà un processo epocale, – commenta Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione delle vittime – l’ultimo passo per la verità totale che svelerà chi organizzò e finanziò la strage".

Mandanti. I nomi, la Procura generale che nel 2017 avocò a sè un’indagine sull’orlo dell’archiviazione, li ha già messi nero su bianco: a partire da Licio Gelli, l’ex maestro venerabile della P2, accusato di aver distratto milioni di dollari dal crac Ambrosiano e messi nelle mani dei Nar (un milione) per la strage. C’è il suo braccio destro, Umberto Ortolani, ci sono l’ex capo dell’ufficio Affari Riservati del ministero dell’Interno Federico Umberto D’Amato e il direttore del Borghese, Mario Tedeschi.

"Ma i correi – chiosano gli avvocati di Bellini, Manfredo Fiormonti e Antonio Capitella – oggi sono tutti morti e dinnanzi alla morte il reato di estingue, l’azione penale diventa nulla. La contestazione in concorso con un imputato vivente, salva il rapporto processuale?". Per questo "il decreto che dispone il giudizio di Bellini è nullo".

Richiesta rimandata al mittente perché il processo all’aviere di Reggio Emilia, che per anni da latitante girò indisturbato per il mondo "protetto dai Servizi deviati" e con l’alias del brasiliano Roberto Da Silva, si celebrerà. E ogni sua parola, da sempre, genera rabbia, indignazione, polemica. Come quelle sputate fuori all’ingresso in tribunale: "Come mi sento? Come Sacco e Vanzetti". I due anarchici condannati a morte in America per un omicidio mai commesso e riabilitati solo 50 anni più tardi. Storia. Come quella invocata dall’avvocato generale Alberto Candi e dai sostituti Nicola Proto e Umberto Palma, partiti dalla sentenza del 2017 sulla strage di Brescia (1974) dove "per la prima volta" si parla di un legame con piazza Fontana, con l’orrore alla questura di Milano (1973) e con Bologna. "Per la prima volta una sentenza dice di fare attenzione a questo fil rouge terroristico".

E la storia di oltre tre anni di inchiesta parte dal crack Ambrosiano, porta a P2 e ai "capi dell’intelligence vicini a Gelli", alla strategia della tensione, a Terza Posizione, a Stefano delle Chiaie e alla ’sua’ Avanguardia Nazionale. Fino a Bellini il cui volto sarebbe impresso nel video Super 8 girato da un turista subito dopo l’esplosione alla stazione, con la difesa che ha chiesto una ’superperizia’. La Corte ora dovrà decidere su chi, dei 214 testi chiesti dalle parti (molti già deceduti), ammettere. Tra loro spiccano i nomi di Massimo Carminati, condannato nell’appello bis di Mafia Capitale, di Gherardo Colombo, il magistrato che scoprì le liste della P2 con il collega Turone, l’ex brigatista Adriana Faranda, Karl Hass (deceduto), l’ex ufficiale delle SS condannato per la strage delle Fosse ardeatine. Chiamato a deporre "sul reimpiego in strutture di intelligence" e sul rapporto con D’Amato e Tedeschi. Un altro pezzo di storia che, 40 anni e otto mesi dopo, attende di essere definitivamente svelato.