Mercoledì 24 Aprile 2024

L’insostenibile normalità del Festival

Migration

Matteo

Massi

Il segreto del non successo del Festival, forse, sta tutto nel passaggio della canzone del duo Colapesce-Dimartino: "Metti un po’ di musica leggera, ho voglia di niente". Ma a Sanremo di canzonette che unoa canterebbe sotto la doccia ce ne sono poche. E di voci e facce che identificano quella musica leggera, ancor meno. La normalizzazione di un Festival che non può essere normale, diventa così pura utopia. A maggior ragione se si ignora il pubblico di riferimento, quello che da anni si mette davanti al televisore.

D’accordo che bisogna tenere conto dei prodotti dei talent, della scena indipendente (e di chi compra ancora qualche disco nei sempre più sparuti negozi italiani) e perfino di chi il Festival preferisce guardarlo dal tablet o dal computer; ma Sanremo è Sanremo solo in quella dimensione che lo rende il palco naturale per le canzonette. Che ci aiuterebbero magari a essere un po’ più spensierati di fronte a un anno di chiusure e quarantene. Così l’effetto normalizzazione del Festival si schianta contro quest’assenza. E di naturale non c’è proprio nulla. Tutto forzato e sincopato. Magra consolazione quindi aver ottenuto che l’età dello spettatore medio si sia abbassata. Perché il conto finale dice: meno di dieci milioni di spettatori al debutto e così poca gente davanti alla tv – nonostante siamo tutti chiusi in casa – non si vedeva dal 2008. Sì, la nostalgia

è per l’abusato ritornello cuore-amore. E che nostalgia (canaglia).