L’insostenibile imbecillità degli anglicismi

Giorgio

Comaschi

Dialoghi in un’estate del 2020. "Hai mai avuto esperienze positive di car-wrappling a Milano? Fammelo sapere, intanto vado a farmi una bella shower, mentre aspetto la call di un mio facility operation manager che mi deve schedulare il planning. Semmai dopo ci sentiamo in una conference-call. Intanto mia moglie è impegnata in alcune faciity-soft in giardino anche perché lei è veramente brava ultimamente nel problem solving. La faccio spesso lavorare con me perché ha molte skills fra cui la capacità di gestione di subcontractors e di budget. Stasera usciamo insieme alla crew per una serata friendly e molto trendy in una splendida location. A me del resto piace la semplicità, l’essere easy ed essere sempre clear quando mi esprimo. Mia figlia sta crescendo bene, è la make-up artist di una start-up che si occupa del fashion. Nascono brand importanti nel suo ambient. Ha un fidanzato molto cool che lavora full-time come brand ambassador di una ditta che produceva all’estero ma che adesso ha fatto reshoring…".

Scusa ma cosa stai dicendo? Non ho capito niente.

"Guarda non ho capito assolutamente neanch’io quello che ho detto. Ho usato tutti quei termini perché fa molto figo e pensavo che tu mi apprezzassi e pensassi che sono uno avanti. Del resto in Italia adesso tutti parlano così. Se non dici una parola in inglese almeno ogni tre parole in italiano sei fuori. O se non ne inventi qualcuna come il nostro governo che usa, per esempio, smart-working come se significasse lavoro da casa e invece vuol dire un’altra cosa. Ma dove vivi scusa? Secondo me hai bisogno di farti un bel cooling break. E non pensare che si dica pausa rinfrescante. Il termine pausa rinfrescante la usano solo i poveretti, come te".

Sai che forse hai ragione. Di dove sei tu, per curiosità?

"Sono di Abbiategrasso. Ma ultimamente la chiamo “Have fat”. Non è più carino?"

Sì, decisamente sì. Ho capito…adesso è molto più chiaro. Siamo degli imbecilli.

"Esatto! Anzi: right!"