Venerdì 19 Aprile 2024

L’insostenbile ‘resilienza’, parola orribile

Giorgio

Comaschi

Avete presente il brividino lungo la schiena? Quello quando avete paura, o quando avete la febbre, o quando qualcosa vi impressiona? C’è un’altra cosa che provoca quel brivido (sono sicuro che, oltre a me, a tanti altri fa quell’effetto): è il termine “resilienza”. Uno (soggetto che andrebbe perseguito penalmente) un giorno ha pescato un termine mai usato prima e per fare il figo l’ha inserito in qualche discorso importante. E il famoso “pecoronismo” (ma c’è in questi casi un’immunità di gregge?) è scattato implacabile. Tutti hanno cominciato a usare la parola resilienza. Una parola orribile, di cui si poteva fare a meno, una parola che può essere sostituita tranquillamente dalla più nota (ma meno di moda) parola “resistenza”.

Ma cosa vuol dire resilienza? Perché uno deve gonfiarsi come un tacchino quando la pronuncia, provando il gusto di essere avanti, colto, forbito. Invece è uno che non sta bene. E deve farsi vedere da uno bravo (ma molto bravo). E chi sei tu, ricercatore di nuovi termini mai sentiti fino a tre mesi fa, che ti si illuminano gli occhi da grurrerello felice quando pronunci l’orrenda termine resilienza? E il bello è che tutti, anche quelli che la usano, dicono che il termine è orribile. Vogliamo fare così? Forniamo altre idee. Vogliamo chiamare la saggezza ‘salienza’?, la caparbietà ’caprarietà’? Vogliamo dire ’orientazione’ quando dobbiamo orientarci? Vogliamo parlare di “giochenza” di un bambino? O della “musicalienza” di un musicista molto dotato? O dire che se uno sa fare ha una certa “bravenza?”. Dai, si può fare. La resilienza ci ha aperto un mondo. E se a uno non basta, può sempre dire (per essere più figo): scrinsciottami quella foto, schedulami i tuoi impegni, linkami quell’indirizzo, brandizzami la tua azienda, spoilerami il finale di quel film. Fino all’agghiacciante: whattsappami appena puoi.

Dai che ce la facciamo. Dai che possiamo diventare i primi del mondo. Nella nobile arte della demenza. Anzi, “derilienza”.