L, G, B, T... Ognuno (o quasi) ha la sua lettera

La sigla arcobaleno è diventata una babele di identità e generi. Un lessico confuso che disorienta anziché aiutare a comprendere

Una manifestazione a Milano a favore del ddl Zan

Una manifestazione a Milano a favore del ddl Zan

Giuro che starò attento. L’orientamento sessuale è tema scivoloso, confina con la suscettibilità, a volte diventa un problema drammatico. Massimo rispetto, dunque. Ciò non toglie che le lotte per i diritti civili degli ultimi quarant’anni siano sfociate oggi in una biblioteca di Babele. Grande è la confusione sotto il cielo delle parole arcobaleno. Il lessico straborda in una miriade di sigle che disorientano, spiazzano, dividono.

Partiamo dalla definizione base: LGBT. Un ombrello che copre lesbiche, gay, bisex, transgender in un manifesto orgoglioso contro sessismo, omofobia, bifobia e transfobia. E fin qui ci siamo, tutto chiaro. Ma dietro la curva si apre una botola in cui è facile sprofondare in assenza del bignami: la moltiplicazione delle lettere dell’alfabeto, aggiunte alle quattro citate. La principale è una Q. Q come queer. In inglese sta per bizzarro, strano, insolito. Per i tedeschi vuol dire diagonale. È un po’ vago ma a naso ci si arriva. Il vocabolo nasce come insulto. Per capirci: equivaleva a frocio. I giovani però hanno spogliato il termine della deriva offensiva, dandogli un significato politico. Chi è queer rifiuta le etichette, ma in fondo anche questa lo è: non si scappa.

Andiamo avanti. Dopo la Q è spuntato il segno +. Un più che apre infinite possibilità. Perché non basta nascere maschi per essere uomini o femmine per essere donne. Troppo semplice. Sarebbe sentirsi cisgender, cioè appartenere a un genere che corrisponde al proprio sesso di nascita: concetto biologico e anatomico. Riconoscermi in questa categoria non mi rallegra. Anzi, mi intristisce. Vorrei entrare nel lunapark dei generi (sbagliando lo vedo così) e invece mi ritrovo catalogato per essere antidiluviano, disfatto, orribilmente vecchio. Attraente zero. Mi rallegra solo il fatto di condividere lo status con Scarlett Johansson, che peraltro ha pagato cara l’anomalia: come cisgender, è stata costretta a rinunciare al ruolo di transgender in un film.

A ben vedere, converrebbe conquistare la lettera A. Posto privilegiato occupato dagli agender, altrimenti detti gender-free. Se non ti identifichi con alcuna identità di genere, guardi il resto del mondo dall’alto in basso. Meglio ancora gli asexual: nessuna emozione, sollievo non da poco. Tirarsi fuori dalla giostra è la strada per la felicità. Insomma: quieta non movere. All’opposto i soci del club della lettera P: i pansexual, estimatori di qualunque genere. Gente che non sta troppo a sottilizzare, ospiti ideali a cui è inutile chiedere: preferisce carne o pesce a cena? L’alternativa espone a rischi colossali. Dura è la vita della seconda lettera G: sta per gender fluid, molto diffuso secondo media e social. Che vuol dire? Ha riassunto la questione Francesca Calearo, in musica Madame, 19 anni, cantautrice che piace moltissimo anche a me: l’altalena del suo desiderio, ha spiegato, oscillava a scuola tra l’allenatore di pallavolo e la prof di matematica. Mutevole. Dipende da come mi sveglio la mattina, dice. Ogni momento sulle montagne russe.

Stesso discorso per la categoria I: gli intersexual. Il sottogruppo di chi presenta caratteristiche fisiche diverse da quelle tradizionalmente associate a maschi e femmine. La scienza riconosce 40 variazioni nell’intersessualità: 40 sfumature di arcobaleno. Serve una bussola per orientarsi. O almeno ununa assistente. Una cara amica, bellissima, attrice, donna in tutto tranne che in un particolare, mi ha rassicurato: stai tranquillo, alla fine della fiera sono solo un finocchio.

Non pago, ho scorso il listone con una collega: divorziata, un figlio maggiorenne, salutista, patita di jogging. Era incerta, poi ha puntato il dito: io sono una K. Il fattore K sta per kinky e si riferisce a pratiche sessuali non convenzionali. Tipo bondage, gioco con la cera, dominazione e sottomissione. L’ho guardata con occhi diversi, invidiando la sua audacia. Come tanti della mia generazione sono rimasto a Celentano: il problema più importante per noi è trovare una ragazza di sera. Faccio mia la resa di Woody Allen: penso di diventare bisessuale, aumenta del 50 per cento le possibilità di passare in compagnia il sabato. E così sia.

 

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