L’etica dei vaccini e i dubbi generazionali. "Rivedere le priorità, proteggere i giovani"

Mori, presidente della Consulta di bioetica. "Rifiuto la cultura dello scarto, ma un anziano può essere tutelato con un maggiore isolamento"

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Roma, 15 gennaio 2021 - "La pandemia ha portato in primo piano un problema antico: quando le possibilità di cura non bastano per tutti nello stesso momento, a chi dare la precedenza? L’abbiamo visto dieci mesi fa, nei reparti di terapia intensiva che non reggevano l’urto dei malati di Covid. Lo rivediamo oggi con i vaccini, anche se stavolta a termini invertiti: arrivano centinaia di migliaia di fiale da destinare. Serve un criterio di scelta trasparente". Maurizio Mori ha 70 anni, insegna Filosofia morale all’università di Torino ed è presidente della Consulta di bioetica, organizzazione che da sempre interviene con lucidità (e pragmatismo) su questioni essenziali del vivere civile. "Meglio vaccinare un liceale che un settantenne come me", è la sua affermazione che ha fatto discutere.

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Professore, lo considera un gesto di generosità?

"La mia conclusione è parte di una riflessione più complessa. Comincia con la domanda: chi va vaccinato subito e chi può aspettare? Ben sapendo che rinviare l’inoculazione del siero porterà alla morte alcune persone".

Si riferisce agli anziani?

"Oggi la lista delle priorità vede in testa il personale sanitario, seguito dagli ospiti delle Rsa, gli over 80 e chi lavora nella scuola. A chi spetta la decisione e con quale criterio viene effettuata? Mi chiedo se sia giusto vaccinare prima di altri una donna di 104 anni".

Discorso delicato.

"Delicato e molto scivoloso, perciò non voglio essere frainteso. Qui non si tratta di cultura dello scarto, di buttare i vecchi dalla Rupe Tarpea o di abbandonarli a un destino ineludibile. Ci mancherebbe. Credo però che nei riguardi degli anziani si possono mettere in atto altre forme di protezione, per esempio salvaguardarne la salute con un maggiore isolamento".

Per il vaccino precedenza ai ragazzi?

"Non so se nel tempo sospeso i giovani siano la generazione più sacrificata. Lo capiremo fra qualche anno, statistiche alla mano. Ma vanno protetti come anche altre categorie. Per esempio i politici che devono, o almeno dovrebbero, occuparsi del bene comune. Così i poliziotti, i vigili del fuoco o quelli che forniscono servizi essenziali: luce, acqua e gas. Vorrei una discussione vera sull’ordine delle priorità".

Serve un protocollo d’intervento?

"Anestesisti e rianimatori ne hanno proposto uno nei momenti dell’assalto agli ospedali. Sono stati sommersi dalle polemiche. Tanti medici si sono trovati soli davanti a scelte drammatiche".

Un esempio?

"Ci sono verità non dette. Accanto a terapie intensive già funzionanti sono nate strutture d’emergenza. Reparti di serie A e B. Quando si liberava un posto in serie A, bisognava decidere chi promuovere dalla B. Questione di vita o di morte, lasciata sulle spalle di un medico senza altri riferimenti che la propria scienza e coscienza. Un rianimatore mi ha raccontato l’incubo della scelta fra due malati".

Come se l’è cavata?

"Considerare l’età del paziente e le sue patologie è un aspetto clinico. In quel caso è ricorso a un parametro extra-clinico: uno aveva moglie e figli, l’altro no. Quella diversità è stata decisiva".

Non è normale che alla fine sia il medico a scegliere?

"Sarebbe logico stabilire in anticipo, nero su bianco, su che cosa puntare: il numero delle vite da salvare o il numero degli anni che restano da vivere. Il secondo parametro privilegia chi ha maggiore aspettativa di vita".

E dove mette il concetto di uguaglianza davanti al vaccino anti virus?

"L’uguaglianza non è identità. Si è uguali, o diversi, sulla scorta di un termine di comparazione. Si chiama giustizia distributiva: coniuga equità e beneficio secondo un criterio etico".

Le precedenti epidemie ci aiutano a prendere la decisione migliore?

"Nel passato ci si affidava alla legge di natura e la morte veniva accettata. Oggi tutti sentiamo forte il diritto alla salute".

Lei è credente?

"Sono laico, ma ho una coscienza. Provo sensi di colpa per i miei errori".