Giovedì 18 Aprile 2024

Una riforma sbagliata. L'errore di credersi federalisti

Quando tutto sarà finito e potremo toglierci la mascherina, quando le polveri delle polemiche si depositeranno e sarà possibile riavvolgere il filo di questo anno disgraziatissimo, allora la politica dovrà trovare la forza di guardarsi allo specchio e trarre profitto dalle lezioni che la pandemia ci ha impartito. "Le peggiori crisi sono quelle che si sprecano", diceva Churchill. E non potrà non riconoscere, la politica, che il "nuovo" Titolo V della Costituzione è una delle vittime del Coronavirus, rimasto schiacciato sotto la sua stessa, inconcludente confusionarietà.

Dopo aver scassato i conti pubblici moltiplicando i centri di costo, la riforma voluta a fine anni Novanta dal centrosinistra per inseguire la Lega ha prodotto un sistema schizofrenico dove le colpe, come le responsabilità, sono di tutti e quindi di nessuno. Gli ultimi casi che la cronaca ci consegna, con i governatori di centrosinistra (De Luca, Giani) che criticano aspramente le decisioni del governo di centrosinistra o le varie province lombarde che si rimpallano responsabilità ed egoismi mostrano un quadro impazzito.

L’errore di fondo che portò D’Alema, Amato, Bassanini a concepire quella riforma fu pensare che l’Italia fosse nel profondo un paese federalista, come la Lega per suo comodo, o sensibilità, andava sbandierando. In realtà l’Italia era da sempre e restava un paese individualista che stava solo chiedendo nuove forme di rappresentanza politica destinate poi a mutare, come è accaduto. Fu quindi cucito un vestito non suo su un paese che non possiede il senso di comunità alla base di ogni società federale. L’Italia non è la Germania o gli Stati Uniti.

Non lo comprese la sinistra vent’anni fa, non l’ha compreso la sinistra adesso. A Titolo V vigente, il governo Conte da inizio pandemia avrebbe già potuto esercitare quella sorta di clausola di sovranità che pure il 117 gli riserva in situazioni del genere, facendo capire che trattandosi di profilassi internazionale non c’erano sistemi regionali che tenessero. Ha invece preferito, chissà se per scelta, debolezza o incapacità, lasciare campo a presidenti di regione e assessori che, perché a loro volta deboli o incapaci, non hanno troppo spesso saputo o voluto assumersi le proprie responsabilità. La campagna elettorale estiva ha ulteriormente peggiorato la situazione. Adesso non resta quindi che l’arma della disperazione, ossia fare appello alla "collaborazione". Buoni sentimenti che notoriamente in politica non servono. Occorrendo invece lucidità nella lettura della realtà, visione e coraggio. In sostanza buona politica. Aiuto.