Giovedì 18 Aprile 2024

L’eredità (bruciata) di Trump

Cesare

De Carlo

We will be back in some form, torneremo in qualche modo, dice Trump prima di lasciare Washington. Già ma quando? In quale forma e con quale prospettiva? Nemmeno lui crede in un ritorno come candidato repubblicano fra quattro anni. Non per l’età. Avrebbe gli anni che ora ha Biden. Non per la lunga e futile ossessione nel denunciare brogli difficili o impossibili da dimostrare. Non infine per la consapevolezza di essere sempre rimasto un alieno, un nemico dell’establishment elitista-economico-mediale che a sorpresa nel 2016 aveva sconfitto e che lo ha massacrato. A non volerlo è il suo stesso partito. I capi storici lo hanno scaricato. Persino Mitch McConnel, leader in Senato, che non esclude di votare la condanna dopo l’impeachment.

Due i motivi. Il primo: l’assalto al Congresso lo ha reso non più viable, accettabile. Né fra due anni alle elezioni di medio termine, né tanto meno fra quattro per la Casa Bianca. Il secondo: il timore che lanci un suo partito che romperebbe il fronte repubblicano. Accadde due volte con Ross Perot. E due volte vinse Bill Clinton. Eppure la sua eredità politica non è affatto male se l’erraticità e la sgradevolezza rimproverategli non oscurano il bilancio dei tre anni preCovid.

Crescita fra il 3 e il 4 per cento, disoccupazione al 3,4, Wall Street e fiducia al massimo. E ancora: sconfitta dell’Isis in Medio Oriente, trattati di pace fra Israele e una mezza dozzina di Paesi arabi, Iran nell’angolo, contenimento dell’alluvione commerciale della Cina. Poi esattamente un anno fa dalla Cina è arrivato il virus. Una rielezione certa è diventata incerta, anzi improbabile. Quel virus è stato devastante. Ha trasformato la frustrazione in rabbia. E la rabbia in violenza contro il tempio della democrazia. Trump almeno inizialmente l’ha cavalcata. E come il Riccardo III di Shakespeare, per quel cavallo ha sacrificato la sua eredità. In un’ora ha bruciato tre anni. ([email protected])