Mercoledì 24 Aprile 2024

L’Ayatollah al Papa: "Difenderemo i cristiani"

Lo storico incontro con Al Sistani, leader degli sciiti. "Basta persecuzioni, qui devono vivere in pace e sicurezza come gli islamici"

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di Nina Fabrizio

Gli occhi assorti, scavati dall’età. La barba grigia, non lunga, incastonata in un viso grave dal turbante nero, segno di discendenza diretta dal Profeta. Quando Francesco è comparso ieri mattina nella sua residenza nella Moschea dell’Imam Alì, terzo luogo più sacro al mondo per i musulmani sciiti, il Grande Ayatollah Alì al-Sistani, in un raro gesto di riverenza tributato al Pontefice, si è alzato in piedi stringendogli le mani. Pochi attimi e si è compiuta la Storia.

Al suo secondo giorno in Iraq, Francesco porta infatti a segno un risultato importante. I 45 minuti di colloquio privato che ha avuto a Najaf, sulle rive dell’Eufrate, primo Papa a recarvisi, con la massima autorità riconosciuta dagli sciiti, sono stati un dialogo profittevole sui comuni obiettivi della pace e della fratellanza in Medio Oriente. Di più, Al-Sistani, che gravita nell’orbita iraniana, ha assicurato a Bergoglio sostegno nella difesa dei cristiani. Non è poco.

L’Ayatollah sciita esercita un’influenza sostanziale: nel 2004 ha appoggiato le libere elezioni; nel 2014 ha invitato gli iracheni ad opporsi ad Isis; nel 2019, interpretando il malcontento della popolazione per il carovita, ha ottenuto le dimissioni del governo. Ma soprattutto è crollato un altro muro, quello di una mutua ignoranza tra cristiani e sciiti. I fatti daranno la misura di quanto sia stato lungo il passo compiuto ieri. Intanto, l’impegno di Al-Sistani è un risultato concreto. Quanto ha detto conversando privatamente a tu per tu con il leader sciita, il Papa lo ha ripetuto poi nel grande incontro interreligioso, con restrizioni anti Covid, nella simbolica Ur dei Caldei. Lì, dice la Bibbia, nacque il "Patriarca di molti", Abramo che da Ur parlò per la prima volta con Dio. Per questo la città unisce i destini di ebrei, cristiani e musulmani. "Dio è misericordioso – ha proclamato Bergoglio – l’offesa più blasfema è profanare il suo nome odiando il fratello. Ostilità, estremismo e violenza non nascono da un animo religioso: sono tradimenti della religione. Noi credenti non possiamo tacere quando il terrorismo abusa della religione".

Questa mattina Francesco trasvola verso la tappa più rischiosa e, insieme, drammatica. Dopo la messa ad Erbil, capitale della regione curda – previsti dai 10 ai 30 mila fedeli protetti dai blindati –, metterà concretamente piede sulle macerie irachene, nei luoghi martiri di Mosul, la città da dove Abu Bakr al Baghdadi si svelò al mondo proclamando la sua jihad, e quindi dell’antica Qaraqosh, teatro di orrendi crimini contro i cristiani. Nel groviglio di fazioni e opposizioni in lotta nell’Iraq mai del tutto pacificato dal 2003, emerge una galassia di nuove milizie armate come gli sciiti Shabak, che professano ricambiati un odio acerrimo contro le unità di protezione cristiane della piana di Mosul. Proprio da loro, si temono azioni terroristiche. Magari solo spari e colpi di mortaio ma tanto basterebbe a spargere, ancora, terrore.