Covid, l'anno orribile degli hotel. "Chiusi e tartassati"

Ricavi crollati, l’80% delle strutture nelle grandi città ha sospeso l’attività "Abbiamo continuato a pagare i costi fissi". Un aiuto arriva dall’Ue

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È stato, insieme con la ristorazione e gli operatori del turismo, uno dei settori più colpiti – e continua ad esserlo – dalla pandemia. Tanto che il 2020 è stato per le strutture ricettive italiane (dalle vacanze ai viaggi ai pernottamenti d’affari anche per fiere e congressi) un anno orribile. Con la peggiore perdita della storia,stimata da Federalberghi in oltre 14 miliardi di fatturato e 243 milioni di presenze in meno. Quasi un terzo di quella (circa 38 miliardi) denunciata dal presidente di Fipe-Confcommercio Lino Stoppani per il mondo dei pubblici esercizi.

Il 2020 ha visto i ricavi dei 32.730 alberghi italiani, dalla pensioncina all’hotel a cinque stelle, con un milione e 32mila camere (dati Istat) e 2 milioni e 260mila posti letto, crollare dal 50 fino al 90% con punte dell’80% di hotel chiusi – non per obbligo ma per mancanza di clienti – nei grandi capoluoghi di regione e nelle città d’arte, da Milano a Bologna, da Firenze a Roma. Alberghi chiusi o aperti con il minimo di attività ma con costi fissi da onorare. Se sul fronte del personale è intervenuta la cassa integrazione e su quello delle imposte l’esonero dal pagamento dell’Imu nel 2020 e della prima rata del 2021, famiglie o imprese che gestiscono un’attività recettiva hanno comunque dovuto fare i conti con le bollette dell’energia, la Tari (che pesa quasi quanto l’Imu, pari complessivamente a 322 milioni all’anno) e soprattutto i canoni di affitto.

Un costo che riguarda circa il 40% degli alberghi italiani e che, diversamente dall’Imu, non è stato possibile non sostenere, rendendo ancora più difficile, avverte Alessandro Nucara, dg di Federalberghi, la condizione di chi gestisce l’attività in affitto e non è proprietario dell’immobile.

Tra le misure previste con i decreti per l’emergenza Covid, c’è stato anche il credito d’imposta del 60% sui canoni d’affitto che pesano circa il 15% sui ricavi (quindi 90mila euro all’anno calcolando la media alberghiera italiana di 600mila euro di fatturato per struttura). Misura che però scade ad aprile e in ogni caso, avverte Nucara, prevedeva che l’affitto comunque fosse pagato per ottenere il credito. E chi non ce l’ha fatta a versarlo entro il 31 dicembre, è rimasto con il debito, perdendo anche l’agevolazione fiscale.

Di fronte a un sostegno da parte dello Stato che ha portato, oltre alle misure su canoni e Imu, ad aiuti in media per impresa limitati a 5.664 euro con il decreto rilancio e a 8.495 con quello ristori, l’altro giorno Federalberghi ha presentato una petizione al governo per salvare le imprese e i lavoratori del turismo chiedendo interventi sulla liquidità (proroga delle rate dei mutui e concessione di prestiti ventennali), esonero per il 2021 del pagamento delle imposte (in primis Imu e Tari), sostegno alle imprese in affitto, sgravi contributivi per chi richiama in servizio il personale e riduzione dell’aliquota Iva al 5% come avvenuto in altri Paesi europei.

E proprio dall’Europa in questi giorni è arrivata una buona notizia: il prolungamento fino al 31 dicembre della possibilità di dare sostegni alle imprese per la pandemia e l’innalzamento dei tetti di aiuti per impresa: da 800mila a 1,8 milioni per il capitolo imposte e da 3 milioni a 10 per i costi fissi. In pratica, conclude Nucara, la Ue ha ridisegnato il campo di gioco. Adesso spetta al governo italiano decidere gli interventi.