Mercoledì 24 Aprile 2024

Kosovo e Serbia, le ferite aperte "La via d’uscita è l’adesione alla Ue"

Tensione alta dopo gli scontri nel nord della repubblica indipendente dal 2008. La Nato invia i rinforzi. Gli analisti: "L’intera area ribolle, il nazionalismo genera consensi anche in Montenegro e Macedonia".

di Alessandro Farruggia

Dopo gli scontri di lunedì nel Kosovo settentrionale – che hanno portato al ferimento di 41 militari dell’Alleanza e di 52 manifestanti serbi – la Nato ha deciso di schierare nel nord del Kosovo la riserva operativa per i Balcani, 700 uomini. A un ulteriore battaglione multinazionale di forze di riserva è stato ordinato di diminuire il proprio stato di prontezza, passando a sette giorni, per rafforzare la Kfor se necessario. Contemporaneamente, si muove la diplomazia. "Siamo molto preoccupati per quello che sta accadendo in quella parte dei Balcani – dice il ministro degli Esteri, Antonio Tajani – dove purtroppo la tensione sta salendo: ho parlato sia con il presidente della Serbia Vucic che con il primo ministro kosovaro Kurti, invitando entrambi alla calma. Chiediamo a tutti di rispettare gli accordi sottoscritti con Borrell per arrivare a una stabilizzazione della situazione. Per i 14 militari italiani feriti non ci sono pericoli, alcuni di loro sono addirittura tornati operativi".

Gli scontri sono frutto di una tensione annunciata che non sarà facile disinnescare. "Io – dice da Pristina Paolo Bergamaschi di Osservatorio Balcani – ero a Zvecan domenica e si sapeva che sarebbero scoppiati incidenti. C’erano già stati scontri venerdì quando i nuovi sindaci avevano cercato di forzare l’accesso ai municipi e lunedì era atteso che quando i sindaci avessero provato ad entrare, i serbi avrebbero risposto con forza, creando incidenti. Ed è puntualmente successo quel che si temeva. Sono scontri annunciati". "Il primo ministro del Kosovo, sconsigliato dalla comunità internazionale – prosegue Bergamaschi – ha cercato la prova di forza per dimostrare che ha il controllo anche nei territori a maggioranza serba. Il presidente serbo Alexandar Vucic da parte sua ha lasciato che la piazza facesse quel che ha fatto e ora può gridare alla provocazione, all’aggressione, e proclamare lo stato di allerta nazionale, giocando sul nazionalismo per rafforzarsi. È nazionalismo contro nazionalismo e così non si va da nessuna parte. Episodi come quello di lunedì possono ripetersi. Serve una forte azione diplomatica per disinnescare la spirale della tensione".

"C’è un concorso di responsabilità – concorda Matteo Bonomi dell’Istituto Affari Internazonali– . C’è una forte responsabilità sia di Pristina che di Belgrado che usano l’innalzamento della tensione in Kosovo come metodo per distrarre da altri problemi. Ma ci sono anche responsabilità dell’Unione europea nella poca credibiltà del processo di allargamento dell’Ue ai balcani occidentali". Che fare? "Per disinnesare la tesione in Kosovo – sostiene Bonomi – serve una strategia di lungo termine. La prospettiva di una futura membership dell’Unione Europea può essere veramente l’unico incentivo che possa riuscire a covincere Pristina e Belgrado a sedersi a un tavolo per trovare un accordo vero e poi a implementarlo".

"Mosca – prosegue Bonomi – sta attivamente soffiando sul fuoco nei Balcani, anche senza avere risorse militari o ecomiche da mettere sul piatto, e i leader locali, con il loro nazionalismo, si prestano. Nei Balcani ci sono del resto molti casi di crisi potenziali, basti pensare, oltre a Kosovo e Serbia, alla repubblica Srpska, in Bosnia, il cui leader è andato a maggio da Putin che gli ha promesso che "non sarà lasciato solo". E in questi anni abbiamo avuto crisi politiche importanti in quasi tutti i Paesi della regione, a partire dal Montenegro fino alla Macedonia del Nord. Anche qui, come nel Kosovo, la soluzione è nell’adesione alla Ue. Altrimenti gli interessi di breve periodo e la ricerca di un facile consenso su temi nazionalistici sono più convenienti e la tensione riesploderà".