AGNESE PINI
Cronaca

Kevin, Luana e 450 croci: morti di lavoro

450 morti in 9 mesi: la cultura imprenditoriale distorta e incivile è responsabile della morte di Kevin Laganà e Luana d'Orazio, entrambi 22enni. Le norme e le leggi esistenti non sono state rispettate, disprezzando la vita umana

Agnese Pini
Agnese Pini

Roma, 3 settembre 2023 – Sono 450 dall’inizio dell’anno. Di ogni età, nazionalità, sesso, qualifica. Sono precari e stagisti, specializzati e non specializzati. Sono rider e manutentori, magazzinieri e operai. Li chiamano morti sul lavoro ma è, questa, una definizione profondamente sbagliata, profondamente ingiusta. Non sono morti sul lavoro, sono morti di lavoro. Usare lo stato in luogo, usare sul, sminuisce le responsabilità, attenua le circostanze, le cause, il dolo, la colpa dietro la fredda contabilità che accompagna una quotidiana strage. Numero dopo numero. Sono morti di lavoro, perché queste vittime - uomini e donne, giovani e anziani, qualificati e non qualificati - sono quasi sempre, anzi, sono sempre l’ultimo anello della catena alimentare del lavoro: sono i meno tutelati, i meno pagati, i più fragili, i più esposti.

Mercoledì notte a Brandizzo, Torino, è morto anche Kevin Laganà, insieme ai suoi quattro compagni. Cito Kevin perché era il più giovane della squadra, aveva 22 anni, e ascoltando la sua storia, raccolta tra le lacrime di suo padre, di suo fratello, dei suoi colleghi, non ho potuto fare a meno di pensare a Luana d’Orazio.

Anche lei faceva l’operaia, anche lei aveva 22 anni quando il rullo compressore dell’orditoio a cui era addetta l’ha stritolata, in una fabbrica di Montemurlo (Prato). Era il 3 maggio 2021.

Nel suo caso i processi hanno già messo nero su bianco quello che per Kevin e i suoi compagni è ancora un’ipotesi investigativa, per quanto robusta: la sicurezza che non c’è, le regole saltate in nome talvolta del profitto, talvolta dell’ignoranza o dell’incuria. Luana lavorava a un macchinario a cui erano state disattivate le barriere di sicurezza perché producesse più agevolmente. Kevin, sta accertando la procura, saldava binari mentre l’autorizzazione necessaria a garantire l’assenza di circolazione dei treni doveva essere ancora redatta. Per risparmiare tempo, scongiurare ritardi, e mettere al riparo la sua ditta dal rischio di penali.

Kevin e Luana sono morti di lavoro, dunque, non è stata la disattenzione a ucciderli, non è stata la crudele fatalità che suggerisce quell’apparentemente innocua preposizione: sul.

No. A ucciderli è stata una cultura imprenditoriale ancora profondamente distorta, ancora drammaticamente incivile. Una cultura – ancora radicata in chi deve dettare ritmi, modalità e controlli – che ritiene irrilevanti, e dunque aggirabili, e dunque irrisorie le norme e le leggi che già esistono e che già dovrebbero garantire e tutelare il lavoratore. Una cultura di menefreghismo che si traduce in disprezzo per la vita umana. Perché 450 morti in nove mesi non sono altro che questo.