Giovedì 18 Aprile 2024

Katia Serra: "Ho subìto avance anche negli spogliatoi. Ma ho rotto tutti i tabù"

L’ex calciatrice e commentatrice Rai racconta la sua "vita in fuorigioco". "A scuola le altre puntavano a fidanzarsi: io pensavo solo al football. Ho respinto approcci indesiderati, anche da parte di altre donne"

Katia Serra

Katia Serra

Katia Serra, da calciatrice a sindacalista a telecronista del calcio maschile, lei ha abbattuto stereotipi e sfatato tabù. Perché ha scelto di intitolare il suo libro Una vita in fuorigioco?

"Perché è la sensazione che ho sempre vissuto sulla mia pelle. Da calciatrice avevo voglia di giocare al calcio con una professionalità che intorno a me non esisteva, non c’era niente di organizzato. Io cercavo di curare i dettagli, dalla dieta agli allenamenti personalizzati, allo smettere di andare a sciare. Mi accorgevo di fare cose che le altre non facevano. Ed è una sensazione che mi ha accompagnato anche fuori dal campo".

Per esempio?

"Stare in fuorigioco significa andare oltre la linea dei difensori col tempo sbagliato, io lo facevo perché volevo cambiare quello che mi circondava".

Era in fuorigioco la bambina che giocava per strada a pallone con i maschi?

"Le mie compagne vedevano già un rapporto tra uomo e donna quando io pensavo solo al gioco, loro non seguivano il calcio maschile e io sì. Alle medie ho iniziato a pormi qualche domanda vedendo che gli atteggiamenti degli altri erano diversi, ma non mi preoccupava ricevere dei no, sono sempre stata un bastian contrario, per spirito. Non mi fermava nessuno".

Era in fuorigioco la sindacalista che insegnava alle compagne come far valere i diritti?

"Quello è stato un lavoro importante, ma molto più frustrante. Conoscevo i regolamenti, mi veniva naturale proteggere le compagne che non venivano rispettate, avrebbero dovuto pensarci i dirigenti. Ma a quel tempo ero solo una rompiscatole".

Poi è diventata sindacalista vera per l’Associazione calciatori.

"E mi sono ritrovata in un ambiente che non era abituato a queste richieste, ma ho sempre amato le sfide perché credevo nel cambiamento. Anche se qualche dubbio l’ho avuto quando ho capito quanto ci stavo rimettendo a livello personale. Perché essere corretti diventava un problema".

Era in fuorigioco la prima donna a prendere il patentino da direttore sportivo senza quote rosa, con voti da maschio?

"Le quote rosa le ho fatte mettere io quando facevo la sindacalista, era un’ingiustizia che tante ragazze non potessero accedere ai corsi federali a Coverciano. Io non ne avevo bisogno, ma quello era un fuorigioco positivo, una situazione bella, anche se per tanti era inaspettata. Però dopo non ho ricevuto neanche una proposta da club del settore maschile".

E la prima donna a commentare una finale dell’Italia maschile, all'Europeo del 2021, come si sentiva?

"Pienamente in gioco, perché a quel traguardo sono arrivata dopo una lunga gavetta e mi sentivo pronta. Mi dispiace per il modo, se non ci fosse stato il Covid sarebbe toccato alla coppia dei titolari, Rimedio e Di Gennaro. Ma io ero a mio agio e per fortuna abbiamo vinto. Non oso immaginare i commenti se l’Italia avesse perso: “ecco vedi chi ha portato sfortuna“...".

Nel libro parla della scarsa attenzione degli allenatori alla differenza fisiologica del corpo femminile, dal ciclo mestruale agli allenamenti.

"È quella la vera sfida, un’attenzione alla fisiologia diversa per tutelare la donna che fa sport, prevenendo gli infortuni. Finalmente stanno arrivando studi specifici, ai miei tempi le metodologie venivano prese facendo copia e incolla dai maschi. E invece anche per arrivare alla prestazione si deve partire da una base fisiologica diversa".

Racconta anche di avere ricevuto avance inopportune.

"Quello è un problema ancora irrisolto, guardate le cifre della violenza sulle donne. Purtroppo una donna in qualsiasi ambito rischia di trovarsi al centro di attenzioni indesiderate, poi ognuno fa le sue scelte in base all’etica, c’è chi prende le distanze e chi se ne approfitta. Io non voglio fare la morale a nessuno, ma a me non andava bene".

Ne ha ricevute anche da donne, e racconta che il tema dell’omosessualità in alcuni spogliatoi femminili è realtà.

"Per fortuna qualcosa sta cambiando, oggi qualcuno parla pubblicamente dei propri orientamenti. Ai miei tempi queste persone facevano fatica a essere accettate, per loro era talmente difficile vivere le scelte individuali che dentro uno spogliatoio sentivano un’accettazione diversa e stavano più a loro agio. Oggi i giovani sono fluidi e non hanno pregiudizi o stereotipi, è più facile esprimersi liberamente. Una volta alcune donne si avvicinavano al calcio per trovare una zona di comfort, lo sport veniva dopo".

Rifarebbe ancora lo spot della birra, in costume con la rovesciata sulla spiaggia, o oggi si rifiuterebbe?

"Magari potessi rifarlo, perché era un gesto tecnico, non un ruolo da donna oggetto. Ma non riuscirei perché non sono più atletica come un tempo..."

Katia, qual è il prossimo tabù che vuole abbattere, il prossimo traguardo personale?

"Con la saggezza ho imparato che certi obiettivi è meglio non esplicitarli, per inseguirli. Quindi al momento non ho nulla da dichiarare, anche perché quelli che ho raggiunto spesso erano solo frutto del mio modo di essere, non di una strategia".