Quel che resta di Karl Marx

Duencento anni fa nasceva il filosofo che più di ogni altro ha segnato il Novecento. Ma le rivoluzioni e i regimi ispirati al suo pensiero non hanno regalato il "paradiso sulla terra"

Karl Marx (Ansa)

Karl Marx (Ansa)

Karl Marx nacque esattamente duecento anni fa, il 5 maggio 1818, da una famiglia della media borghesia di Treviri, in Germania. La sua filosofia (che trova la massima espressione nel “Capitale”, scritto con Friedrich Engels) ha influenzato tutto il Novecento. Il profeta del proletariato – come venne definito – ha creato un pensiero che, poi interpretato da altri (in primis Lenin) ha di fatto cambiato la politica e la storia di un intero secolo, con esiti sconvolgenti – e non di rado tragici – in gran parte del mondo. Oggi le celebrazioni per i due secoli dalla nascita del filosofo si svolgono un po’ ovunque. Con l’intento di inquadrarne meglio il pensiero nel periodo storico che lo vide nascere. Le parole pronunciate ieri a Treviri dal presidente della Commissione europea, Jean-Claude Junker, sono sintomatiche: "Marx non è responsabile per tutti gli abomini che sono stati fatti" in suo nome, "va capito nel suo tempo". E c’è chi nel marxismo ci crede ancora eccome, ed è uno dei grandi del mondo. Nel suo discorso di ieri il presidente cinese Xi Jinping ha ribadito: le teorie di Marx splendono con la brillante luce della verità, e sono uno strumento per la Cina per "vincere il futuro".

 

di FRANCESCO PERFETTI

Verso la metà degli anni cinquanta Indro Montanelli pubblicò un libello corrosivo dal titolo “Mio marito, Carlo Marx” nel quale immaginava che la moglie del filosofo, Jenny von Westphalen, raccontasse la genesi del primo libro di “Il Capitale”. Il ritratto del padre del comunismo, quale emerge dal brioso e dissacratorio pamphlet, è devastante. Da quelle pagine scoppiettanti di ironia vien fuori un individuo egocentrico e rancoroso, un inetto costretto a vivere della generosità di Engels, un piccolo borghese pieno di complessi nei confronti della moglie blasonata, un economista fallito in cerca di rivalsa, un politico mosso dall’invidia sociale. 

L’immagine di questo Marx in pantofole, tutt’altro che simpatico e sempre sull’orlo di una crisi di nervi, non corrisponde a quella ufficiale e santificata dai suoi seguaci, ma è in fondo, al netto della rielaborazione letteraria, più veritiera. E vale la pena di rammentarla, come un antidoto a tante prevedibili e retoriche esaltazioni, nel giorno in cui se ne ricorda il bicentenario della nascita. 

Un discorso su Marx e sul marxismo, oggi, deve muoversi lungo due direttrici. La prima è quella relativa al suo pensiero. La seconda riguarda le realizzazioni della dottrina politica che di quel pensiero è conseguenza. Un bel saggio, appena uscito, di Giuseppe Bedeschi, “Il marxismo dopo Marx” (Castelvecchi Editore), spiega bene, con una prosa cristallina, come la dottrina originaria di Marx, consegnata a tanti suoi lavori, presenti «diverse incongruenze, contraddizioni, lacune che la inficiano gravemente» e che, sotto un certo profilo, danno conto del fatto che essa abbia potuto generare tante forme di marxismo teorico e abbia potuto ispirare tanti tipi di regimi politici, da quello della Russia sovietica a quello cinese, da quello cubano a quello coreano.

A guardar bene, però, c’è un tratto comune in essi, il carattere di “religione secolare”. Sempre e ovunque, infatti, il comunismo, cioè il marxismo realizzato, si è presentato come surrogato delle religioni tradizionali trascendenti promettendo un “Paradiso in terra”. 

Giunto al potere in Russia nel 1917, il comunismo rappresentò una sconvolgente novità. Per la prima volta, infatti, una filosofia – anzi una “filosofia della prassi”, il marxismo-leninismo, cioè Marx letto attraverso Lenin – si tradusse in istituzioni e sviluppò la vocazione espansionistica propria di tutti i movimenti rivoluzionari. Innestò sul terreno della concretezza politica una grande illusione, circonfusa da quello che François Furet ha definito in uno splendido volume, “Il passato di un’illusione” (Mondadori), «l’universale fascino dell’Ottobre». Costrinse, così, tutti, a cominciare dalle democrazie liberali, a misurarvisi o comunque confrontarvisi. 

Fu in questo senso che un filosofo cattolico, interessato allo studio del marxismo, Augusto Del Noce, poté parlare della storia contemporanea come di «storia filosofica», riferendosi a una filosofia, quella appunto di Marx, che si era «inverata» in istituzioni politiche e aveva finito per condizionare gli eventi. 

Il crollo del muro di Berlino e la caduta dei regimi comunisti nell’Europa orientale sembrarono mettere la parola fine sulla illusione comunista. Anche perché, dal punto di vista speculativo, la stessa filosofia di Marx era stata fatta oggetto, da tempo, di critiche che ne avevano dimostrato la debolezza teoretica. Ma non fu così. In altre parti del globo regimi di tipo comunista continuano a sopravvivere. Con tutto quel che ne consegue. E questa, purtroppo, è l’eredità lasciata dal pensiero utopistico del piccolo borghese complessato, rancoroso e invidioso raccontato da Montanelli.