Italiana fermata in Turchia. Era in un corteo femminista

L’arresto a Istanbul nelle manifestazioni contro la violenza sulle donne. Migliaia di attiviste hanno intonato lo slogan delle proteste iraniane

La protesta a Istanbul nella Giornata contro la violenza sulle donne

La protesta a Istanbul nella Giornata contro la violenza sulle donne

La difesa dei diritti umani e civili spalanca le sbarre a un’altra ragazza italiana: il suo nome è Dalila Procopio, studentessa Erasmus, figlia di un brigadiere dei carabinieri. Tutte le info della sua pagina Facebook da ieri sono oscurate. Stavolta il fermo avviene a Istanbul, dove le opposizioni turche denunciano decine di arresti alla manifestazione (non autorizzata) della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, venerdì, in piazza Taksim. Nonostante i rischi, centinaia di attiviste si sono riunite intonando – in turco e in curdo – lo slogan delle proteste iraniane “Donna, vita, libertà“. Farnesina e famiglia, sentita Dalila ("sta bene", ma è in stato di fermo al commissariato Karakoy), confidano in un provvedimento di rilascio. Già oggi la studentessa dovrebbe essere trasferita in un centro di rimpatrio. Una tempistica molto più rapida di quella per riportare a casa la blogger Alessia Piperno, detenuta 45 giorni a Teheran per il sospetto coinvolgimento nei moti anti-regime dopo la morte della 22enne Mahsa Amini.

In modo diverso, Iran e Turchia sono fronti torridi dello scenario internazionale. L’Iran vede crescere il malcontento giovanile e popolare con una sanguinosa spaccatura dell’intera società. La Turchia, dilaniata dall’inflazione, vive il doppio registro di una sfrenata ambizione geopolitica. In sintesi, il presidente Recep Tayyip Erdogan alterna la maschera di mediatore tra Mosca e Kiev (dal corridoio sul grano al fronte ucraino) al consueto profilo bellico anti curdo. E proprio in Siria (contro Fdk e Ypg) e in Iraq (contro Komala, Kdpi, Pejak, Pkk e Pdk), le due autarchie appaiono ora alleate di fatto nelle contemporanee campagne militari contro le diverse espressioni della minoranza più odiata. In particolare, i capi dello Ypg sono strumentalmente accusati da Ankara di essere mandanti ed esecutori del recente attentato nel centro di Istanbul, con 6 morti. Secondo i curdi, dietro la bomba ci sarebbe invece la mano dell’Isis. I turchi non ci sentono e attaccano a testa bassa. Ieri, senza causare morti, hanno colpito anche la base Usa di al Sheddadeh, in Siria. "Abbiamo neutralizzato 254 terroristi", afferma Ankara.

È in questo contesto di nazionalismo spinto oltre ogni limite che Erdogan sta mobilitando le forze di polizia, anche in patria, contro ogni forma di dissenso.