di Cesare De Carlo   Come muoiono le dittature? Per le proteste? Non esattamente. Quanto sta accadendo nell’Iran degli ayatollah e nella Cina di Xi è un sintomo. Non è l’inizio della crisi e tanto meno della fine. Lo può diventare però quando il regime scende a compromessi, fa concessioni o addirittura si apre a qualche liberalizzazione. E allora crolla tutto, come teorizzava Michail Suslov, per oltre vent’anni custode dell’ortodossia sovietica. SISTEMA IRRIFORMABILE Se fosse stato per lui Michail Gorbaciov non sarebbe mai divenuto presidente. Morì nel 1982, tre anni prima che al Cremlino entrasse colui che affrettò il collasso del comunismo volendolo salvare. Suslov sapeva bene che il sistema era irriformabile e che ammorbidirlo o peggio liberalizzarlo avrebbe eroso il potere totalitario. Senza contare le ripercussioni disgregatrici all’interno del Patto di Varsavia. Ecco perché non ebbe esitazioni nello schiacciare la primavera di Praga. Dubcek anticipava la perestroika e la glasnost di Gorbaciov. E sempre a Suslov viene fatta risalire la responsabilità del complotto bulgaro contro il Papa polacco. Se in quel maggio del 1981 Karol Wojtyla fosse morto, anche Solidarnosc probabilmente si sarebbe spenta e l’anello debole della catena, la Polonia appunto, non sarebbe saltato. PROTAGONISTI DELLA STORIA Ovvio, la storia non si fa con i se. Ma è altrettanto ovvio – come scrive Francis Fukuyama – che i suoi protagonisti le impongono la direzione. Consapevolmente o no. Nella sua ‘’Fine della Storia’’ scrisse che dopo la scomparsa dell’Urss l’Occidente non aveva più nemici e dunque aveva vinto la sua liberaldemocrazia. Sbagliava. Non però quando profetizzò il fallimento di ogni riformismo in una cornice totalitaria. Conferme? Certamente. Partiamo dalla Cina comunista. In questi giorni mentre in Iran monta la rivoluzione dello hijab, laggiù si svolgono manifestazioni contro il lockdown per il Covid e queste a loro volta si ammantano di invocazioni libertarie. Non le si udiva da 33 anni, da piazza Tienanmen. Ebbene allora Deng Xiaoping, il grande revisionista, inviò i carri armati contro gli studenti. Revisionista sì, in economia con la sconfessione del collettivismo di Stato, ma implacabilmente comunista in politica. Scongiurò alla Cina un’involuzione alla Gorbaciov. In altre parole il capitalismo in versione cinese si sarebbe sviluppato entro la camicia di forza del partito unico. CUBA E COREA DEL NORD Altri esempi ci vengono da Cuba e Corea del Nord. L’Urss del riformismo pasticcione si dissolse nel giorno di Natale del 1991. Ma quei due Paesi non l’hanno seguita. Sono rimasti agli anni Cinquanta, allo stalinismo. E sono ancora in piedi. E ancora in piedi sono i regimi illiberali del Medio Oriente. La primavera araba è sfiorita. Non aveva nemmeno toccato i confini dell’Iran. La teocrazia degli ayatollah aveva fatto buona guardia. Ma ora è alle prese con la rivoluzione dello hijab. E per farla rientrare dopo i morti, gli arresti, le epurazioni azzarda qualche concessione. Per esempio l’abolizione della polizia morale. Se confermata, è una sconfitta dell’intransigenza religiosa. Ce ne saranno altre? Gli ayatollah lo temono. Per la prima volta in quattro decenni la parola libertà risuona nelle strade di Teheran. LA FINE DELLO SCIÀ Cadde così anche lo Scia quando l’Iran si chiamava Persia. Era la fine degli anni Settanta. Per calmare le proteste contro la polizia politica allentò la repressione e si aprì alle riforme. Fu costretto all’esilio mentre i suoi sudditi si consegnavano al fondamentalista Khomeini. Non immaginavano di passare da un’autocrazia a una teocrazia ancora più intollerante.

Cronaca

di Cesare De Carlo 
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Come muoiono le dittature? Per le proteste? Non esattamente. Quanto sta accadendo nell’Iran degli ayatollah e nella Cina di Xi è un sintomo. Non è l’inizio della crisi e tanto meno della fine. Lo può diventare però quando il regime scende a compromessi, fa concessioni o addirittura si apre a qualche liberalizzazione. E allora crolla tutto, come teorizzava Michail Suslov, per oltre vent’anni custode dell’ortodossia sovietica. 
SISTEMA IRRIFORMABILE 
Se fosse stato per lui Michail Gorbaciov non sarebbe mai divenuto presidente. Morì nel 1982, tre anni prima che al Cremlino entrasse colui che affrettò il collasso del comunismo volendolo salvare. Suslov sapeva bene che il sistema era irriformabile e che ammorbidirlo o peggio liberalizzarlo avrebbe eroso il potere totalitario. Senza contare le ripercussioni disgregatrici all’interno del Patto di Varsavia. Ecco perché non ebbe esitazioni nello schiacciare la primavera di Praga. Dubcek anticipava la perestroika e la glasnost di Gorbaciov. E sempre a Suslov viene fatta risalire la responsabilità del complotto bulgaro contro il Papa polacco. Se in quel maggio del 1981 Karol Wojtyla fosse morto, anche Solidarnosc probabilmente si sarebbe spenta e l’anello debole della catena, la Polonia appunto, non sarebbe saltato. 
PROTAGONISTI DELLA STORIA 
Ovvio, la storia non si fa con i se. Ma è altrettanto ovvio – come scrive Francis Fukuyama – che i suoi protagonisti le impongono la direzione. Consapevolmente o no. Nella sua ‘’Fine della Storia’’ scrisse che dopo la scomparsa dell’Urss l’Occidente non aveva più nemici e dunque aveva vinto la sua liberaldemocrazia. Sbagliava. Non però quando profetizzò il fallimento di ogni riformismo in una cornice totalitaria. Conferme? Certamente. Partiamo dalla Cina comunista. In questi giorni mentre in Iran monta la rivoluzione dello hijab, laggiù si svolgono manifestazioni contro il lockdown per il Covid e queste a loro volta si ammantano di invocazioni libertarie. Non le si udiva da 33 anni, da piazza Tienanmen. Ebbene allora Deng Xiaoping, il grande revisionista, inviò i carri armati contro gli studenti. Revisionista sì, in economia con la sconfessione del collettivismo di Stato, ma implacabilmente comunista in politica. Scongiurò alla Cina un’involuzione alla Gorbaciov. In altre parole il capitalismo in versione cinese si sarebbe sviluppato entro la camicia di forza del partito unico. 
CUBA E COREA DEL NORD 
Altri esempi ci vengono da Cuba e Corea del Nord. L’Urss del riformismo pasticcione si dissolse nel giorno di Natale del 1991. Ma quei due Paesi non l’hanno seguita. Sono rimasti agli anni Cinquanta, allo stalinismo. E sono ancora in piedi. E ancora in piedi sono i regimi illiberali del Medio Oriente. La primavera araba è sfiorita. Non aveva nemmeno toccato i confini dell’Iran. La teocrazia degli ayatollah aveva fatto buona guardia. Ma ora è alle prese con la rivoluzione dello hijab. E per farla rientrare dopo i morti, gli arresti, le epurazioni azzarda qualche concessione. Per esempio l’abolizione della polizia morale. Se confermata, è una sconfitta dell’intransigenza religiosa. Ce ne saranno altre? Gli ayatollah lo temono. Per la prima volta in quattro decenni la parola libertà risuona nelle strade di Teheran. 
LA FINE DELLO SCIÀ 
Cadde così anche lo Scia quando l’Iran si chiamava Persia. Era la fine degli anni Settanta. Per calmare le proteste contro la polizia politica allentò la repressione e si aprì alle riforme. Fu costretto all’esilio mentre i suoi sudditi si consegnavano al fondamentalista Khomeini. Non immaginavano di passare da un’autocrazia a una teocrazia ancora più intollerante. 
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