Giovedì 18 Aprile 2024

Ira, superbia e ignavia: peccati della crisi. La sfida tra i 2 leader è un girone dantesco

Lo scontro Conte-Renzi stimola un intrigante parallelo con la Commedia dell’Alighieri, tra vizi mai sopiti e virtù dei protagonisti. Dal dualismo tra Marc’Antonio e Ottaviano fino all’esilio di Napoleone: la storia può indicare come evolverà la situazione

Migration

Roma, 15 gennaio 2021 - "Non potevamo abitare assieme nel mondo intero". Così Ottaviano commenta la tragica fine di Marc’Antonio, nell’Antonio e Cleopatra di William Shakespeare, appena apprende che si è suicidato. Le ho ripensate subito tali amare parole, ascoltando i discorsi velenosi e flautati di Renzi e Conte in questi giorni. Chi dei due vincerà? Chi fra qualche settimana saluteremo come nuovo Cesare?

"Due Cesari no, sono troppi", un altro cantore della classicità, il poeta Kavafis, ammoniva davanti al figlio di Cleopatra e Cesare, Cesarione. Il cesarismo è un male antico ed endemico, mai eradicato dalla storia. Riappare con triste frequenza, se si pensa a Mussolini, Hitler, Stalin. Non c’è vaccino che lo abbia saputo domare.

Ne abbiamo avuto una recente riedizione con il narcisismo ferito a morte di Trump, incapace di accettare che Biden abbia vinto. Per lui sembra proprio valere il detto degli antichi, Deus amentat quos vult perdere, "Dio confonde il cervello di chi ha deciso che si perda".

Ma il duello che oggi oppone il premier Conte all’ex premier Renzi offre gustosi ingredienti per cucinare una nuova commedia di quel male che fece perdere la testa a uomini elevati al potere dal nulla di ben altro spessore, come Napoleone. E d’altra parte rinnova, proprio nell’anno in cui si celebrano settecento anni dalla sua morte, l’attualità estrema del più grande dei nostri poeti, Dante.

Perché ad arricchire la vis del duello c’è anche la componente squisitamente fiorentina di uno dei due contendenti. Quel Renzi, già sindaco di Firenze, che ci spinge a rileggere e ripensare Dante, evocando con i suoi atteggiamenti vizi puniti in ben altra Commedia, come l’invidia, l’ira e la superbia.

Quel Renzi che, relegato all’Elba del Senato, sembra cogliere l’occasione della crisi del governo Conte per tornarsene a Parigi, cacciando il re Borbone, infischiandosene dei Cento giorni, ignorando la lezione della storia. Perché dopo l’Elba c’è l’esilio di Sant’Elena.

Ma l’attualità del poema di Dante è a tutto campo in questa tenzone. Si avvale infatti anche della felpata personalità di Conte, se valgono le accuse renziane del vizio d’ignavia adombrata nel rimprovero di immobilismo e quella, ancora più grave, del peccato di gola, per l’indigestione di potere assaporato in questi anni.

La crisi di governo, in cui ci dibatteremo chissà per quanto tempo, somiglia più della pandemia alla peste del Manzoni, nel commento alla fine de I promessi sposi, di don Abbondio, che la peste l’aveva avuta, ma a differenza di Don Rodrigo era guarito: "È stata come una scopa". Per Renzi potrebbe essere infatti lo strumento ideale per spazzare via da Palazzo Chigi il suo Don Rodrigo. Colui chi ha sciupato i suoi sonni, in questi due anni, quando sognava di tornare negli Stati Uniti ad accarezzare il cane di Obama alla Casa Bianca, il cane da acqua portoghese.

Crisi viene dal verbo greco krino, "spezzo". Un gran repulisti con la benedizione delle istituzioni e della Costituzione.

I due Cesari nostrani, per chi creda alle indicazioni psicologiche dei segni zodiacali, anche da quel lato sono fatalmente inadatti a capirsi. Il fiorentino è del freddo Capricorno, segno di feroce senso del concreto, privo di fragilità emotive, razionale, incapace di gioco di squadra, sensibile solo al proprio tornaconto. Conte è del caldo segno del Leone, afflitto da egopatia e vanità, da inflazione dell’io, ma anche da un forte senso della giustizia e dotato di grande resistenza ed energia creativa.