"Io, mamma ’rara’: la scienza è la mia luce"

Beatrice, 39 anni, testimonial Telethon. "Per sopravvivere mi serve una lampadina speciale, per fortuna c’è la ricerca"

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di Loredana Del Ninno

La vita di Beatrice è scandita dalla luce. Quella di una lampada a led che rimodula i valori della bilirubina necessari per la sua sopravvivenza. Beatrice, 39 anni, sposata con Paolo e madre di tre figli, è affetta dalla sindrome di Crigler-Najjar, patologia che colpisce, nella sua forma più grave, una persona su un milione. A lei e ad altre ’mamme rare’ la Fondazione Telethon dedica, il prossimo 1 e 2 maggio, Io per lei, campagna per sostenere la ricerca scientifica sulle malattie rare, attraverso l’acquisto dei Cuori di biscotto. Acquisto possibile in 1.300 punti vendita diffusi in tutta Italia o nella sezione dello shop solidale del sito www.ioperlei.telethon.it.

Beatrice, quando si è accorta di essere malata?

"Sono cresciuta con la malattia. Appena nata i medici avevano attribuito il mio colorito giallognolo all’ittero, una manifestazione temporanea che può comparire dopo il parto. Con il passare delle settimane però la situazione non si risolveva e, grazie a esami specifici, i dottori giunsero alla diagnosi".

Qual è il suo maggior disagio?

"La sindrome di Crigler-Najjar è causata dal malfunzionamento di un enzima che altera il metabolismo della bilirubina. Ne esistono due forme, la mia è quella di tipo 1, cioè la più grave. L’unica cura attualmente disponibile è la fototerapia. Da sempre dormo sotto la luce di una lampada speciale. Cosa che complica, e talvolta impedisce, i miei spostamenti, perché l’effetto dura al massimo tre giorni. Anche mio marito Paolo sposandomi ha dovuto rinunciare alla possibilità di riposare completamente al buio".

Come è stato crescere nelle sue condizioni?

"Da piccola i bambini mi prendevano in giro per il colore dei miei occhi, che in certi momenti a causa della malattia tende al giallo. Ricordo che ci soffrivo moltissimo. Poi la situazione è cambiata: qualcuno li aveva sensibilizzati riguardo al mio problema e tanti di loro negli anni sono diventati i miei migliori amici. Al liceo i miei compagni per fare in modo che partecipassi alla gita scolastica avevano chiesto al preside di accorciare i giorni di permanenza. E proprio alle superiori ho conosciuto Paolo, che mi sostiene nelle difficoltà quotidiane".

Lei è una ricercatrice, quanto ha influito la malattia di cui soffre sulla sua scelta professionale?

"Tantissimo. Adoro la scienza sin da bambina, sono laureata in Biotecnologia e ho conseguito un dottorato a Edimburgo, dove ho cominciato a studiare l’applicazione delle cellule staminali. Attualmente lavoro a Modena in un centro di medicina rigenerativa e la terapia genica mi appassiona per le sue potenzialità risolutive di tante patologie".

Che cosa si augura per il futuro?

"Che la ricerca possa sviluppare soluzioni che aiutino chi è affetto da patologie rare come la mia. Ho tre figli, una famiglia splendida, ma vorrei poter smettere di nutrire preoccupazioni sulla mia salute per crescere serenamente i miei bambini. E anche pensare di andare in vacanza finalmente per una settimana intera".