Mercoledì 24 Aprile 2024

"Io e mio marito sfidiamo la morte Ma litighiamo anche a 8mila metri"

L’alpinista, 60 anni, ha conquistato in coppia le 14 vette più alte. "Il segreto? Sapere quando è ora di scappare"

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di Lorenzo Guadagnucci

Nives Meroi ha scalato col marito Romano Benet i quattordici Ottomila del pianeta, senza ossigeno supplementare e senza portatori d’alta quota: è l’unica coppia (e l’unica cordata) al mondo riuscita nell’impresa. Eppure Nives dice d’essere una persona "piuttosto timorosa". Dev’essere per questo che sembra avere una visione poco eroica dell’alpinismo. Dice che si sale sugli Ottomila per curiosità e per cercare la bellezza e che una volta arrivati in cima "si capisce quanto siamo fragili". La sfida estrema d’alta montagna, alla fine, porta alla scoperta dei limiti, propri e dell’umanità. Se la scalata è una metafora della vita, questo è il messaggio: non andare oltre. Nives Meroi sarà oggi a Pistoia (ore 15, piazza Duomo) alla rassegna Dialoghi sull’uomo per parlare su "Il senso della sfida", con Caterina Soffici.

Nives, qual è stato il senso della sfida ai 14 Ottomila?

"La curiosità, una cosa che abbiamo tutti in dotazione, ciascuno nel suo ambito. Sarebbe un guaio se la perdessimo. E poi la ricerca della bellezza. La bellezza non solo del paesaggio, della forma di una montagna, di una linea di salita, ma anche la bellezza del camminare e del camminare insieme, al ritmo del proprio passo, quello più naturale".

Le sue sono imprese inaccessibili ai più. Quanto coraggio ci vuole?

"La montagna è un ambiente pericoloso, specialmente oltre gli ottomila metri, sia per i rischi di maltempo, di valanghe, di incidenti vari, sia perché in carenza d’ossigeno il nostro organismo – che non è fatto per quegli ambienti – deve mettere in atto dei trucchi per non soccombere. Sta a noi cogliere i segnali che il corpo ci dà. Vale per l’alta montagna e vale per tutti gli ambiti della vita: è necessario considerare continuamente i propri limiti, conoscerli e casomai imparare l’arte di oltrepassarli, ma evitando di pagare pedaggio".

Che insegnamento può trarre una persona comune dalla sua esperienza?

"Non credo che mi si possa considerare un esempio, ma diciamo che ho sempre cercato di avvicinarmi ai miei limiti un passo per volta, spostandoli piano piano sempre più in là, ma senza mai sfondarli. Per natura sono piuttosto timorosa, cerco di accumulare conoscenze, di imparare poco per volta. In montagna è fondamentale avere attenzione ed essenzialità di gesti e pensieri. E poi c’è l’esperienza, che ti permette di avere gli strumenti per affrontare le difficoltà, fin dove è possibile. Io e Romano siamo anche esperti nell’arte della fuga senza vergogna. È importante saper riconoscere il momento di scappare via. E forse vale anche lontano dalla montagna".

Avrebbe potuto scalare gli Ottomila senza suo marito?

"Non avrebbe avuto lo stesso significato. Per me, per noi, la parte alpinistica di una spedizione è solo un aspetto del viaggio. Se la vivesse solo uno dei due, sono convinta che non parleremmo più la stessa lingua. Il fatto di viverla insieme, ciascuno dalla propria prospettiva, dà la possibilità di avere un quadro più ricco. Quel che conta non è l’impresa, ma il cammino che abbiamo fatto insieme".

Perché definisce Romano "l’artista della scalata"?

"Perché lui guarda una montagna e con gli occhi e la mente tratteggia i percorsi di salita. Intuisce sempre le vie più essenziali. È lui che apre la strada, poi io, col mio passo, arrivo".

Come cambia la vita di coppia a ottomila metri?

"Non cambia. Si riesce a discutere e litigare a qualunque quota. E per le stesse banalità dei bisticci di casa".

Che cosa vi ha insegnato la montagna?

"A essere essenziali nel gesto e nel pensiero, a parte le discussioni... Quando si è a certe quote, quello che si cerca di fare è scappare via il prima possibile e soprattutto rimanere vivi: per questi obiettivi, l’alleanza all’interno della cordata è fondamentale. La montagna ti insegna a eliminare le cose superflue".

È un insegnamento che vale anche a casa?

"Sì. L’alpinismo ci ha dato gli strumenti per affrontare il percorso della malattia di cui ha sofferto mio marito. La montagna insegna a mettere un passo dopo l’altro senza mai scoraggiarsi, insegna la pazienza, la concentrazione. Insegna a osservare tutti i particolari. Cose utili in ogni momento della vita".

E una volta in vetta?

"Capisci d’essere al confine di ciò che la natura concede a noi umani. Eppure ho notato che in tutte le foto che ci siamo fatti non siamo mai a mani alzate, in un gesto di conquista, ma accovacciati a terra. Quello che ho provato in cima a quelle montagne è un pacificante senso di appartenenza. Lì ti rendi conto di quanto sia fragile la nostra vita e percepisci chiaramente d’essere parte di tutto quello che vedi intorno a te. Una volta arrivati lì, non possiamo fare altro che scendere. Forse è questa la spiritualità degli Ottomila".