Giovedì 25 Aprile 2024

Francesco Moriero: "Da San Siro a ct delle Maldive, anche in paradiso giocano a pallone"

L'ex attaccante di Roma e Inter, allena la nazionale delle isole tropicali: "Qui si lavora sodo"

Francesco Moriero, 52 anni, con lo staff di collaboratori della nazionale maldiviana

Francesco Moriero, 52 anni, con lo staff di collaboratori della nazionale maldiviana

Una pubblicità della marina di Pescoluse, a due passi da Santa Maria di Leuca e da casa sua, dice così: "Non cercate altrove le Maldive, sono nel Salento. Spiaggia bianca e finissima, fondali bassi, acque limpide, acacie e tamerici, un orizzonte ampio con infiniti tramonti dove lasciare andare i pensieri e le ansie". E invece no. A 52 anni, inseguito dalla nostalgia per la moglie e i 3 figli, Francesco Moriero – una lunga carriera in Serie A tra Cagliari, Roma, Inter e Napoli – ha preso ed è andato alle Maldive. L’originale, non la copia. A quindici ore di volo e a 4 di fuso orario dall’Italia. Dalla scorsa settimana è l’allenatore della Nazionale. Una delle più deboli al mondo. Famosa per il clamoroso 17-0 inflittole dall’Iran nel 1997 alle qualificazioni per i mondiali in Francia. Una sfida pazzesca: renderla presentabile agli esami dei Mondiali in Qatar e insegnare il calcio negli atolli.

Ma qui tutti a dire beato te che lavori in paradiso. E a immaginarlo sul lettino con i piedi a mollo e un bicchiere di vino di palma in mano.

"Mi viene in mente cosa diceva Trapattoni: non merito tante attenzioni, non sono né la Lollobrigida né Marilyn sebbene spesso abbia anche io un bel culo. Però no. Non sono qui in vacanza. Lavoro tutto il giorno, per cui non immaginatemi a fare snorkeling. Vado e vengo fra gli atolli, prendo aerei, studio tattiche. Faccio l’allenatore, ho una grossa responsabilità verso un intero popolo e a questo mi dedico. Anche se ieri di ritorno da un’amichevole a Kuredu, dove per la cronaca i miei ragazzi hanno vinto 7-1, sono riuscito a fare il bagno e a scottarmi".

E i pensieri, le ansie? Il suo è il più precario fra i mestieri precari. Si sente un po’ Napoleone a Sant’Elena?

"Ma no, assolutamente, quale esilio. Sono partito perché la proposta era di fare crescere una squadra, che è quello che credo di sapere fare. Qui o altrove cambia poco. O meglio: di diverso c’è che devo allenare prima lo staff per fare capire cosa voglio. E c’è pochissimo tempo. L’8 novembre ci aspetta lo Sri Lanka e vogliamo essere protagonisti".

Era già stato alle Maldive? E’ riuscito a prendere le misure?

"Prima volta e prima impressione abbagliante. Paradiso è l’unico modo di dirlo. La gente è fantastica e mi ha accolto benissimo. Vengo dal Sud e mi sento a casa, dove mi giro c’è il mare. Sto cercando di scansare le trappole culinarie. Va bene il Theluli mas che è una frittura di tonno, ma per ora eviterei il Chichandaa satani a base di pelle di serpente".

Per i suoi ragazzi sarà un dio.

"Sono eccitatissimi e come è giusto cercano di mettersi in mostra. Su un paio ho puntato gli occhi e penso che possano sognare in grande. Nessuno è professionista. Sono commessi, impiegati. Prima facevano due allenamenti al giorno, il primo alle sei del mattino, che in Italia non esiste proprio. Chiedevano continuamente permessi e io ho detto no, facciamo così: chiudete bottega, fatevi la preghiera delle 18.30 e ci vediamo una volta sola al giorno a oltranza. Sto lavorando sulla corsa. Poi passeremo alla tattica e alla mia idea di calcio, offensivo e vincente fino a prova contraria. Qui è uno sport seguitissimo anche se sono rimasti indietro di qualche puntata. Mi parlano di Ronaldo, di Totti e di Baggio. Hanno imparato a memoria il mio curriculum e quindi le misure le hanno prese loro. È un altro mondo. Si aspettano tanto da me. Peccato non avere la bacchetta magica.".

Lei non parla il Dhivehi, la lingua locale. Problemi di comunicazione?

"Non parlo nemmeno inglese se è per questo, ma ci sto lavorando. Ho l’amico Emilio che mi dà una mano e un altro collaboratore traduce dal maldiviano. Ecco perché per ora gli allenamenti durano tantissimo".

È un po’ come fare il coach della nazionale di bob della Jamaica, un’incongruenza ai confini del mondo.

"Non dica così . Io sono abituato a fare la valigia. Sarei potuto andare negli Usa. Sono stato avvicinato da un’altra nazionale di cui non faccio il nome perché ci sono ancora trattative in corso. Altro che Jamaica. Con l’Africa Sports National in Costa d’Avorio abbiamo vinto il campionato dopo 40 anni partendo da sottozero. Quando c’è da lavorare la distanza non mi spaventa".

A proposito di ansia. Boskov diceva che gli allenatori sono come le gonne: un anno vanno di moda le mini, l’anno dopo le metti nell’armadio. È fastidioso mettere passione temendo di finire nell’armadio.

"Se è per questo il collega del rugby John Kirwan confermava che ci sono solo due tipi di allenatori: chi è stato licenziato e chi aspetta di esserlo. E’ un mestiere difficile pilotato da gente che di calcio non capisce niente. Soprattutto in Italia. Ti prendi addosso responsabilità e vaffa.. Se vinci cinque partite e ne pareggi due ti mandano a casa, la colpa è sempre tua. Ridicolo. Come si dice, fa parte del gioco, devi farti scivolare le cose addosso. Ma io ero un po’ stufo. All’estero oggi si può lavorare e insegnare calcio senza essere schiavo dei risultati".

Poi lo sanno tutti che le Maldive sono il posto giusto per rilassarsi.

"Allora confesso: ieri sì, mi sono rilassato alla grande. Dopo l’amichevole ho fatto una lunghissima passeggiata su una spiaggia bianca e ho nuotato sotto la luce del tramonto. Alla faccia degli invidiosi".