Martedì 16 Aprile 2024

"Io, bimba nata da una violenza Ora capisco il rifiuto di mia madre"

Como, la donna diede in adozione la figlia oggi malata: si sottoporrà al prelievo del Dna per aiutarla nelle cure

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di Marianna Vazzana

"Io non so il motivo del rifiuto iniziale della mia mamma biologica. Ma capisco il dolore, capisco che questa storia le abbia riportato alla mente eventi del passato che ha cercato di dimenticare. Capisco che abbia avuto bisogno dei suoi tempi. Se ce l’avessi davanti, oggi, non potrei che dirle grazie". Parla Daniela Molinari, quarantasettenne malata di tumore, che ha conquistato il sì della madre biologica a sottoporsi a un semplice prelievo di sangue, indispensabile per provare a salvarle la vita. Daniela, residente a San Vittore Olona, nella città metropolitana di Milano, a sua volta mamma e nonna, ha ribadito tante volte che quel sangue è l’unico modo per dare inizio a una terapia sperimentale, alternativa alle cure tradizionali che finora non hanno avuto effetto. La madre biologica, di 66 anni, che l’abbandonò alla nascita all’orfanotrofio di Rebbio, frazione del comune di Como, è protetta da anonimato. Rintracciata dal Tribunale per i minorenni di Milano, ha in un primo momento negato il suo aiuto.

Pensa che il no iniziale sia dovuto al pensiero doloroso di aver subìto una violenza in passato?

"Io non so con certezza le circostanze che hanno portato alla mia nascita. Mia madre ha riferito al Tribunale di non voler sapere più niente di me per non rivivere un evento doloroso (la donna aveva 19 anni quando la partorì e pare che la nascita di Daniela sia il frutto di una violenza, ndr). Io non mi capacitavo del rifiuto a sottoporsi al prelievo perché mi avrebbe tolto la vita che aveva deciso di donarmi. Mi stava condannando a morte. Ora ha accettato di aiutarmi e la ringrazio. Ha avuto bisogno dei suoi tempi e, da donna a donna, di fronte a un trauma per lei così doloroso, ora la comprendo. Da figlia le sono grata. Sto aspettando la telefonata del Tribunale per l’ufficialità ma ormai la notizia è di dominio pubblico da ore".

Si sente sollevata?

"Sì: è la notizia che speravo di ricevere. Da un paio di giorni non sto molto bene fisicamente, per la malattia, ma ora mi sento addosso un sovraccarico di stanchezza e speranza. Penso soprattutto alle mie figlie di 28 anni e di 9 e al mio nipotino di 6 anni che comincerà la scuola a settembre. Vorrei stare loro accanto il più a lungo possibile".

Che direbbe ora alla sua mamma biologica, se ce l’avesse davanti?

"Non potrei che dirle grazie. Vedere i miei appelli in televisione e leggere di me sui giornali sicuramente ha smosso qualcosa e io le sono grata per non essere rimasta indifferente. Ora che ha cambiato idea non posso che essere felice: avrò almeno la possibilità di tentare una terapia sperimentale".

Le piacerebbe incontrarla?

"Lei si è sempre rifiutata e questa è una sua scelta in cui io non posso entrare. Sono stata adottata da un’altra famiglia quando avevo 2 anni e non l’avrei mai cercata se non per provare a salvarmi la vita. Tuttora non le chiedo nulla ma, se fosse interessata a conoscermi, io sarei disponibile. Non mi sono certo offesa per il rifiuto iniziale a sottoporsi al prelievo. Ho solo cercato di farle capire, a distanza, quel che era necessario. Tutto il resto sarebbe non necessario".

La sua battaglia traccia una strada?

"Vorrei che fosse un simbolo. Vorrei che si intervenisse a livello legislativo per far sì che non capiti più a nessuno ciò che è capitato a me: vorrei che il diritto alla vita prevalesse sul diritto al rifiuto di un’altra persona, pur garantendo l’anonimato e tutte le tutele".