Mercoledì 24 Aprile 2024

Intolleranza, complottismo, aggressività "Sui social il dialogo è impossibile"

L’esperto di media e politica dopo l’assalto al Congresso e lo scontro Trump-Twitter: "Giusto aver spento l’incendio"

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di Marcella Cocchi

"Nel mondo anglosassone c’è il detto ‘Attento a quello che desideri perché potrebbe verificarsi’. Questo è un po’ quello che accade con i social, soprattutto quando i temi sono complessi".

Cristian Vaccari, bolognese trapiantato in Gran Bretagna e professore di Comunicazione politica alla Loughborough University, osserva l’escalation americana dopo l’assalto al Congresso, lo sfratto di Trump dai social, il modo in cui si alimentano tesi cospirazioniste come l’ordine mondiale satanico incitato da QAnon... è come se tanti focus dei suoi studi entrassero nel frullatore. E il mix restituisce una domanda.

I social sono davvero luoghi di confronto o sono piuttosto sfogatoi che alimentano solo quello che vogliamo sentirci dire?

"Tutti dovremmo fare i conti con il fatto che la nostra capacità di informarci è sempre più condizionata da poche grandissime aziende, prevalentemente americane e in futuro cinesi, con un potere sempre più grande. Ma in realtà solo il 3% di quello che circola sui social è legato all’informazione. Il resto è condivisione soft, come la foto del gattino da mostrare".

Ma quel 3% pesa così tanto nella cosiddetta formazione delle opinioni?

"Sì, perché è altrettanto vero che negli ultimi dieci anni si assiste al fenomeno delle eco chambers o bolle".

Che cosa significa?

"Per alcuni gruppi, più interessati alla politica e più disponibili a mobilitarsi, questa percentuale è molto più alta e questa informazione può avere ripercusssioni importanti. In certi casi queste persone incontrano messaggi che rafforzano ciò che pensano, con la possibilità di creare mondi lontani da ciò che è verificabile. Social come i bar di un tempo, dove si chiacchiera ma difficilmente si riesce ad argomentare il contraddittorio".

Dunque, è corretto dire che su Facebook o Twitter si alimentano di più gli estremismi?

"Sì. Prendiamo l’esempio di un No vax. Costui sui social può trovare un quantitativo di informazioni (vere o false) impensabile anni fa. E per di più subentra quello che i sociologi chiamano ‘de-responsabilizzazione’: cadono i freni inibitori dato che si è avatar di se stessi".

I leoni da tastiera e l’odio. Harry e Megan sono gli ultimi vip che pur avendo milioni di follower hanno detto addio social. "Avranno le loro ragioni". (Ride).

Veniamo allo scontro Trump- colossi web. Giusto che Twitter lo abbia sfrattato e Facebook fermato?

"Sì, perché bisogna almeno dare atto che Zuckerberg&Co le hanno provate tutte. Hanno depotenziato i messaggi ’esplosivi’ con gli avvertimenti. Ma quando un presidente in carica incita l’insurrezione armata…".

C’è chi dice che sono privati e possono fare come credono.

"Dal punto di vista legislativo in America si fa riferimento a una legge del 1996 che in sostanza dice che se si è provider è la persona che usa il tuo mezzo a rispondere per quello che dice. Non possono fare i poliziotti insomma".

Non sono editori con i relativi oneri però sfrattano?

"In questo caso estremo le piattaforme hanno scelto di spegnere un ‘incendio’ per non rendersi corresponsabili di fatti molto gravi".

Ora Trump vuol creare un social da sé. Ci sono precedenti di un politico che fa questo?

"No, ma non potrà avere la stessa potenza di fuoco che ha su una maxi piattaforma. Ed è ancora più rilevante il fatto che Google e Apple abbiano reso impossibile scaricare ’Parler’, il social dove si è trasferita la destra americana per comunicare. Mi preme comunque fare una precisazione sulle bolle di prima. A volte vi si innestano anche movimenti di opinione rilevanti. Penso al Black Lives Matter o al #MeToo al mondo degli ambientalisti di Greta. Non ci sono solo i cospirazionisti".