Insulta l'amante del marito, lei la querela. Il giudice: "Uno sfogo, no al risarcimento"

Verona, la moglie aveva scoperto la scappatella del marito che le aveva anche confessato di aspettare un figlio dall'altra donna

Un giudice (foto generica)

Un giudice (foto generica)

Una poco di buono, come ha definito l’amante del marito una signora di Verona. Una "zorra" (si traduca a sentimento) come Wanda Nara ha chiamato la rivale entrata nel cuore di Icardi. Anche una Twingo, nella versione Shakira di fronte al tradimento di Piquè. Denigrare l’altra ci sta, è umano e comprensibile. Ma può diventare un reato e quindi tirarsi dietro un risarcimento?  Nel caso della signora di Verona, no.

Sono state parole pronunciate in un momento di rabbia, ha stabilito il giudice. Era uno sfogo. In teoria, siamo tutte assolte: se lui arriva, confessa e magari aggiunge anche che presto sarà padre, è un attimo perdere la testa. La storia riportata dal Corriere Veneto entra di prepotenza nella dinamica delle corna, una danza in cui tutti i partecipanti rischiano di sbagliare il passo.

Questa è la scena clou dell’autunno 2017 durante l’ennesimo litigio fra una coppia che si sta separando. Lei ha scoperto la scappatella del marito imprenditore, lui peggiora la situazione rivelando di aspettare un figlio dall’altra, la moglie fa partire il classico insulto di cui "poco di buono", si sarà capito, è solo un eufemismo. E il traditore cosa fa?

Riferisce tutto all’amante, eufemismo compreso. E l’amante, che si ritiene diffamata, querela. Avvocati e giudice di pace provano a trovare un accordo: 400 euro come indennizzo per il danno subito, una cifra ragionevole per qualche deprecabile parolaccia scappata in una lite fra ex, nell’intimità di una casa. Per la vittima delle ingiurie, però, il ristoro è quasi un’offesa e si rivolge al tribunale di civile di Verona alzando il tiro: chiede 2.600 euro per le spese legali più altri 7 mila per il "pregiudizio morale ed esistenziale" derivato dagli insulti. A questo punto il giudice Cristina Benazzi applica il diritto ma anche l’umana comprensione e respinge entrambe le richieste. La sentenza deve mettere in guardia tutti: il patimento d’animo deve essere dimostrato da una dichiarazione medica, non basta la testimonianza del nuovo compagno. Ma soprattutto l’ingiuria "deve essere valutata nel contesto in rapporto alla personalità dell’offesa e dell’offensore". C’è risarcimento solo c’è danno. E sullo sfogo di una moglie tradita si può stendere un velo.