Martedì 23 Aprile 2024

Insonnia precoce

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Matteo

Massi

Nativi digitali. Quando si pronuncia quest’espressione fa sempre un certo effetto. Ma chi sono i nativi digitali? Perfino Mark Prensky, che coniò l’espressione, aveva le idee confuse. Si ragiona a spanne, quanto meno da un punto di vista anagrafico. Verosimilmente i nativi digitali sono quelli che nati (appunto) dal 1990 in poi, sono cresciuti in un mondo in cui si fa affidamento quasi esclusivamente su strumenti digitali. Facendo una botta di conti, c’è il rischio ora che sia presente al mondo la seconda generazione dei nativi digitali, qualora i trentenni attuali (nati dal 1990 al 1992) siano diventati genitori in età giovane.

Nel frattempo, però, la formazione attorno a loro è diventata sempre più digitale e la presenza di smartphone e vari device sempre più massiccia in famiglia (e non solo). Ieri è stata diffusa una ricerca della De Monfort University di Leicester, nel Regno Unito, i cui risultati non sono per nulla rassicuranti: il 12,5% dei ragazzi di dieci anni perde una notte di sonno ogni settimana per controllare le notifiche in arrivo da TikTok, Snapchat e Instagram. Scendendo nel dettaglio della ricerca viene fuori che la maggior parte dei ragazzi intervistati utilizza i social media almeno per quattro ore al giorno. Quattro ore: un sesto del giorno con gli occhi davanti a un display.

Di fronte a questi dati e di fronte all’allargamento della platea dei nativi digitali, bisogna chiedersi appunto che cosa si sia fatto per la loro educazione proprio in questo settore. Inutile raccontarsi favole: tornare indietro non è possibile. Mettere qualche divieto anagrafico, nell’ordine dello smartphone vietato agli under 14, può essere un deterrente, la cui efficacia però è tutta da vedere. Aggirare quel divieto o qualsiasi altro, in fondo, non è poi così difficile.

Forse invece vale la pena chiedersi a che punto è l’educazione digitale dei nostri ragazzi. Trent’anni fa quando i primi nativi digitali venivano alla luce, si parlava con insistenza della necessità di introdurre nelle scuole elementari (non solo come compendio didattico) l’educazione civica.

Trent’anni dopo siamo di fronte a una nuova sfida che non dovrebbe essere disattesa: un’educazione digitale che deve passare sicuramente dalle scuole, visto che in molti casi l’utilizzo dei device più vari è indispensabile in classe. E che dovrebbe, ma in questo caso il condizionale è d’obbligo, passare anche da casa. Dalla famiglia. Un’impresa quasi impossibile, se la tentazione (anche a tavola) di scrollare il proprio smartphone in cerca delle ultime notifiche diventa più forte di guardare negli occhi e in faccia i nostri ragazzi.