Venerdì 23 Maggio 2025
REDAZIONE CRONACA

Medicina estetica e confini etici, la filosofa morale: “Attenti al rischio Barbie”

Elena Mancini, primo tecnologo presso il Centro Interdipartimentale per l’Etica e l’Integrità nella Ricerca del CNR: inseguire un modello irraggiungibile di omologazione aumenta la sofferenza

Elena Mancini, filosofa morale, primo tecnologo presso il Centro Interdipartimentale per l’Etica e l’Integrità nella Ricerca del CNR

Elena Mancini, filosofa morale, primo tecnologo presso il Centro Interdipartimentale per l’Etica e l’Integrità nella Ricerca del CNR

Roma, 19 aprile 2025 – Elena Mancini, filosofa morale, primo tecnologo presso il Centro Interdipartimentale per l’Etica e l’Integrità nella Ricerca del CNR. Quali sono i confini etici della medicina estetica?

“Come regola morale generale ritengo che le regole debbano essere stabilite sulla base degli interessi umani e non viceversa. Uno dei presupposti più importanti dell’etica medica è l’autonomia del paziente. Per questo è necessaria una corretta informazione al paziente, che dev’essere edotto dei possibili rischi e dei benefici realistici. Questo è l’unico strumento per dare sostanza all’autonomia delle persone”.

I trattamenti di medicina estetica non sono interventi salva vita.

“Proprio per questo non è abbastanza chiaro il bilanciamento tra rischi e benefici. Tuttavia, in alcune situazioni per una persona può essere estremamente importante avere un certo trattamento estetico, ne va proprio dell’equilibrio psicologico”.

Quali aspettative abbiamo quando chiediamo un trattamento?

“Molte e diverse. Pensiamo a un cambiamento di identità di genere. In quel caso, ad esempio, la medicina estetica è assolutamente consustanziale al raggiungimento dell’obiettivo della transizione di genere e può essere considerata una sorta di salva vita. Però si pongono due problemi: bisogna essere coscienti del fatto che l’insoddisfazione per il proprio corpo può essere una sorta di ancoraggio, in altre parole si pensa che quello sia il problema e che rimuovere la causa garantirà un maggiore equilibrio. Ma poi, se la persona proietta il suo disagio in un oggetto specifico che è la sua identità corporea, è anche possibile che quando ha raggiunto l’obiettivo, capisca che il malessere non era dovuto a quello. Questa situazione è molto difficile da invertire, non si può tornare indietro. Quindi la valutazione diagnostica è molto importante, e va fatta prima”. E nello stesso tempo ci si rende conto che il problema non è stato affatto risolto.

"Per questo bisogna affrontare la questione prima, molto seriamente. Quindi ci vogliono colloqui clinici con lo psicologo, probabilmente anche con test diagnostici specifici”.

Quali dovrebbero essere i punti di riferimento di un medico e di un chirurgo estetico, soprattutto nei confronti di un giovanissimo che non ha ancora una sua identità strutturata?

“Il riferimento etico principale è sempre dato dal capire quanto è importante il cambiamento per una persona. In generale, nella medicina estetica, è facile sopravvalutare o sottovalutare la richiesta del paziente. Esistono però criteri oggettivi, in primo luogo la reale efficacia rispetto ai benefici attesi e poi quanto l’intervento pesa dal punto di vista del paziente, come il costo economico, il dolore da sopportare, l’impatto di un possibile danno se le cose vanno storte. Ma non è necessario che ogni intervento debba essere salvavita. Per esempio, soprattutto per un adolescente l’immagine corporea è fondamentale. Ci si trova qui in un conflitto classico dell’etica medica, in quanto il rispetto per l’autonomia del paziente può essere in contrasto con quello che il medico ritiene essere invece il bene del paziente.

Ma l’accettazione di sè non dovrebbe essere parte della crescita?

“Sì, ma non sarei così tranchant, si diventa moralisti. Non si può dire, sei immaturo se non ti accetti. Questo alla fine è non mettersi nei panni degli altri”.

Allora qual è l’equilibrio tra questo diritto e la moda?

“Questo è il punto. La questione non è tanto che uno voglia raggiungere attraverso un cambiamento estetico quella che ritiene essere la vera immagine di sé. Una persona può sentirsi tradita dal suo corpo, ad esempio può pensare di ‘ritrovarsi’ se perde venti chili... Ciascuno di noi ha una sorta di immagine interna, a cui a un certo punto il corpo può non corrispondere più. Questo è facilmente comprensibile. La cosa che trovo invece drammatica è il fatto che invece tutto questo venga veicolato con immagini stereotipate. A quel punto non è una ricerca di sé, è una ricerca di altro, il desiderio di essere omologabili”.

Eppure sta accadendo proprio questo.

“Sì, sta accadendo. E questa è la cosa che io penso ingeneri più sofferenza di quanta ne risolva. Perché ci si trova sistematicamente alla rincorsa infinita di un modello che non potrà mai essere raggiunto. Come nel caso della magrezza, ci si vuole spingere sempre un po’ più in là, sempre un po’ più in là. Ho perso 10 chili ma potrei perderne 15”.

Come si ritrova il filo?

“Il filo va ritrovato individualmente. Intanto bisogna rendersi conto che si sta perseguendo una cosa che sia logicamente che psicologicamente è irraggiungibile, cioè il fatto di pensare che il proprio corpo possa essere continuamente trasformato per raggiungere quanto più possibile un modello ideale. Quello che gli psicologi chiamano appunto “ideale dell’io”. Questa è una cosa fallimentare e provoca una sofferenza enorme, non si sarà mai soddisfatti. E se anche questo obiettivo venisse raggiunto, sarebbe comunque una distorsione completa della propria identità. Come dire, la tendenza a diventare tutti Barbie, prodotti”.