
Checco Zalone sequestrato da una tribù africana in Quo vado? (2016), film cult, il protagonista vive nel mito del posto fisso, finché non cambia tutto
Roma, 15 giugno 2025 – Grande magazzino a Bologna, una sola cassa aperta su 4 e coda infinita. “Scusate, ieri si sono dimessi in tre, domani ci saranno i colloqui”. Va così: licenziarsi non è più un tabù. I numeri sono chiari, non ci siamo lasciati alle spalle il fenomeno delle Grandi dimissioni – Great Resignation – che dopo il Covid ha investito tutto il mondo. Nel 2024 – elaborazioni della Fondazione studi consulenti del lavoro su dati Inps – si sono dimessi più di 1,2 milioni di lavoratori dipendenti a tempo indeterminato, con una leggera flessione sull’anno precedente (1.238.002 contro 1.272.872) che ci consegna una sostanziale tenuta.
Ma allora questo dato è ormai ‘strutturale’? E che cosa significa? Le risposte sono complesse ma tutti gli indicatori sono concordi almeno su un punto: le generazioni più giovani vogliono difendere qualità della vita e benessere psico-fisico, e dicono no a contesti ’tossici’.

L’analisi dei consulenti del lavoro
Però Rosario De Luca, presidente del Consiglio nazionale Ordine consulenti del lavoro, nelle dimissioni volontarie vede un “segno assolutamente positivo. In Italia spesso viviamo di luoghi comuni, quest’espressione rischia di terrorizzarci, ci chiediamo subito, cosa sta succedendo?”. Invece “ci stiamo un po’ americanizzando. Se si tornerà indietro? Non credo, i giovani dal Covid in poi sono molto attenti alla conciliazione vita-lavoro. Prima si entrava in un’azienda e si andava in pensione lì, oggi non è più così. Le Grandi dimissioni non ci devono spaventare. Come Fondazione abbiamo studiato questo fenomeno, ci siamo chiesti: ma come mai lavoratori che hanno un posto a tempo indeterminato si licenziano?”.
La ricerca (anche) della felicità
Le risposte portano tutte nella stessa direzione: “C’è chi trova un’occupazione più vicina a casa e guadagna due ore di vita. Oppure si cercano aziende che offrano welfare. Spesso si cambia non per un aumento di salario ma per il parcheggio che evita di girare per un’ora attorno al palazzo, o ancora perché viene offerta la polizza sanitaria. La qualità della vita conta”. Mentre le proiezioni demografiche “stimano una riduzione di 5 milioni di persone tra i 15 e i 64 anni, entro il 2040”. “Verosimile – è la conclusione del presidente – attendersi una crescente competizione tra le imprese per attrarre e trattenere il capitale umano”.
L’analisi della Cisl (anche sui metalmeccanici)
Marino Mazzini, segretario confederale Cisl Città metropolitana di Bologna, non ha dubbi: “Gli under 35 mettono al primo posto la conciliazione dei tempi vita-lavoro e la soddisfazione, che vengono prima del salario. E quindi si guardano attorno e cambiano, alla ricerca di chi offre ad esempio smart working o riduzione dell’orario. Accade anche nel settore dei metalmeccanici. Le aziende informatiche hanno un ricambio di personale che poi le mette in difficoltà, l’impresa ti forma e dopo un anno e mezzo magari esci per lavorare altrove”. Perché “i ragazzi sono anche molto attenti alle offerte di formazione”.
Il peso del malessere sul fatturato
L’altra faccia della medaglia resta il malessere. Appena il 10% dei lavoratori “sta bene nel contesto organizzativo”. Lo rivela l’ultimo studio diffuso dall’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano, che ci spiega: aumentano i quiet quitter, lavoratori disillusi che si limitano a fare il minimo indispensabile. “Per questo noi abbiamo puntato sulla partecipazione – rimarca Mazzini –. Il malessere spiega anche il dato sulla produttività, siamo tra gli ultimi in Europa. Mentre abbiamo verificato che quell’indicatore cresce, assieme ai salari, se il lavoratore si sente valorizzato”.

Dal turismo al commercio: i settori più colpiti
Ma quali sono i settori più coinvolti dal fenomeno delle Grandi dimissioni? Sicuramente il grosso si concentra ancora tra commercio e turismo, anche per il numero di assunzioni. Però Diego Lorenzi della Fisascat Cisl nazionale corregge la definizione. “Io la chiamo Grande Fuga. Perché c’è una fetta consistente di lavoratori disposta anche a peggiorare la propria retribuzione pur di avere una qualità di vita più alta. Quindi evade, scappa”. E quali sono le prospettive future? “Mi aspetto un ritorno, se nella contrattazione riusciremo a parlare di un’organizzazione diversa dall’attuale, ad esempio non tutte le domeniche e non tutte le festività lavorative, se riusciremo a contrattare le fasce orarie, che nella grande distribuzione cambiano sempre in funzione della clientela. Altrimenti, questa tendenza addirittura aumenterà”. Resta una domanda: dopo le dimissioni, si va a stare meglio? “Nella mia esperienza – confida Lorenzi –, continuo a vedere persone che escono e peggiorano la propria gratificazione, anche se migliorano la vita privata”.
I numeri delle dimissioni nella sanità
Un caso che merita approfondimento è sicuramente quello della sanità. Carlo Palermo, presidente nazionale Anaao Assomed, attinge alla Onaosi, ente assistenziale della categoria. E compone questo quadro: “I medici dipendenti del servizio sanitario nazionale, quindi ospedalieri, sono circa 120mila. Ogni anno ne escono 3mila, l’ultimo dato si riferisce al 2023. Il numero non tiene conto di chi raggiunge l’età della pensione, non sono comprese nemmeno mortalità o invalidità assoluta. L’uscita anticipata in questo caso dipende evidentemente solo dalle dimissioni. Si esce per i carichi di lavoro sempre più consistenti, perché si trascorrono i fine settimana in ospedale e si ha difficoltà ad andare in ferie”. Prospettive? “Al momento, non si vede un’inversione”.