Milano, 13 settembre 2024 – Forse stavano già dormendo quando sono divampate le fiamme: uno di loro aveva il pigiama addosso. Di sicuro, tutti hanno cercato disperatamente di sfuggire al rogo, ma si sono ritrovati in una trappola incandescente.
Dong Yindan è stata trovata ai piedi della scalinata di ferro che porta al piano di sopra, stroncata dalle esalazioni killer dell’incendio che ha divorato in pochi minuti la facciata del capannone e i cinque-sei metri più vicini all’ingresso. Liu Yinjie e Pan An hanno scelto un’altra disperata via di fuga per allontanarsi il più possibile dal muro di fuoco, ma sono crollati nella parte posteriore dell’open space, con i polmoni saturati da fumo e gas tossici.
Così, alle 23 di giovedì, lo showroom di arredamento di via Ermenegildo Cantoni 3, stradina che sbuca dietro la stazione ferroviaria Certosa nell’estrema periferia nord-ovest di Milano, si è trasformato in una gabbia senza uscita per tre giovanissimi cinesi, con la pesante ombra della pista dolosa legata a una richiesta di 20mila euro ad allungarsi sinistramente sul tragico rogo e gli interrogativi in cerca di risposte sull’assenza di un’uscita di sicurezza.
I soccorritori non hanno potuto fare altro che constatare il decesso del 24enne Pan, studente di design con un domicilio a Torino, e dei fratelli Liu e Dong, entrambi nati nella vicentina Arzignano, il primo 17enne (sarebbe diventato maggiorenne il 25 ottobre) e la seconda 18enne. Questi ultimi, stando a quanto emerso, erano cugini del titolare dell’azienda, il 26enne loro connazionale L.J., e probabilmente avrebbero passato la notte nello spazio espositivo che aveva aperto i battenti la scorsa primavera; nell’incendio è morto anche il pitbull del ventiquattrenne.
Le indagini
A valle delle complesse operazioni di spegnimento e delle verifiche sulla stabilità dell’edificio, terminate all’alba, sono scattate le indagini sulle cause dei vigili del fuoco, che hanno effettuato ieri mattina un primo sopralluogo su delega del procuratore capo Marcello Viola e del pm Luigi Luzi: al momento, non è stata ancora sciolta la riserva sull’eventuale intervento di una mano esterna, anche perché non sono state trovate tracce evidenti di acceleranti o resti visibili di materiale infiammabile o di contenitori utilizzati per trasportarlo. Tuttavia, sin dalle prime ore i carabinieri, hanno iniziato a scandagliare proprio quella pista.
I sospetti
Il motivo? Qualche ora prima, il padre del titolare, il 49enne L.Y., si è recato dai militari della stazione Duomo per denunciare una tentata estorsione ai danni della sua famiglia. In particolare, l’uomo, che è anche dipendente della ditta intestata al figlio, ha messo a verbale che nella notte tra mercoledì e giovedì, mentre stava rincasando, sarebbe stato fronteggiato da uno sconosciuto – che un’indiscrezione non confermata descrive come presumibilmente nordafricano (ma anche su questo aspetto gli accertamenti sono in corso) – che gli avrebbe puntato contro un coltello e gli avrebbe intimato di consegnargli 20mila euro.
Non basta: la mattina dopo, anche Z.H., 48 anni, moglie di L.Y. e madre del titolare dello showroom, sarebbe stata vittima di un raid identico, a due passi dalla sede di via Cantoni. Inutile aggiungere che un precedente del genere e così ravvicinato nel tempo, seppur da tratteggiare con precisione nei suoi contorni, alimenta i sospetti su un possibile collegamento tra gli episodi.
Resta da capire innanzitutto chi sia quella persona, se si sia mossa di sua iniziativa o per conto terzi, magari per recuperare un debito: la sensazione è che non abbia agito a caso, ma che abbia preso di mira i coniugi cinesi per un motivo ben preciso. Nei minuti immediatamente precedenti allo scoppio del rogo, le telecamere avrebbero ripreso il passaggio di più persone vicino allo showroom: probabilmente la soluzione sta in quei fotogrammi.