In vino veritas Se l’annacquate sarà Calicexit

di Raffaele

Marmo

Immaginate di versarvi un calice di Barolo, di Sangiovese, di Chianti, di Amarone della Valpolicella. Ma anche un calice di un classico italiano di medio livello. Che cosa provereste a scoprire, al primo sorso, di bere un vino annacquato? Diciamolo come va detto: vi arrabbiereste come matti e giustamente. E vi verrebbe l’istinto violento di tirare la bottiglia lontano da voi. Per non dire addosso a chi ve l’ha portata.

Eppure, senza che nessuno se ne accorgesse (se non i segugi della Coldiretti), è proprio questo (il vino annacquato) il destino (cinico e baro) al quale rischiamo di essere condannati per via di una dannata e maledetta proposta di qualche tristissimo grand commis di Bruxelles finita, purtroppo, in un documento formale della Presidenza del Consiglio dell’Unione europea.

Sotto la voce dealcolazione parziale o totale, è stato ipotizzato l’annacquamento del vino come pratica da autorizzare e, anzi, da sostenere e favorire nella direzione di un malinteso principio salutista. E non c’è neanche solo questo nel delirante pacchetto di innovazione enologica degli algidi tecnocrati europei: l’Unione ha dato il via libera anche al vino senza uva, quello ottenuto dalla fermentazione di frutta, dai lamponi al ribes. Per non parlare dell’introduzione dell’obbligo di alert terrorizzanti (come quelli utilizzati per i tabacchi) sulle magnifiche e affascinanti etichette dei vini: un obbrobrio estetico, prima di ogni altra cosa. Ci auguriamo, però, che il Ministro dell’Agricoltura, Stefano Patuanelli, ma anche lo stesso premier, Mario Draghi, si facciano sentire con sollecitudine con Bruxelles per evitare questo nuovo scempio dell’Europa ai danni non solo di un settore-chiave dell’economia italiana, ma anche di una cultura millenaria che è parte integrante dell’identità non solo della nostra Nazione ma anche di quella di tutto il Vecchio Continente. Altrimenti, non meravigliamoci che qualcuno possa concepire la Brexit del calice.