In soccorso i responsabili e i cattolici Udc Il ministero della Famiglia all’ultrà Binetti

Con i nuovi innesti il premier otterrebbe la maggioranza al Senato. Dubbi invece in alcuni ambienti del Pd: no a un governo raccogliticcio

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di Ettore Maria Colombo

Prima il soccorso delle ‘truppe mastellate’, i Responsabili, da poco promossi al rango di Costruttori. Poi quello degli eletti all’Estero, gli italiani nel mondo. Infine, ieri, ecco che arriva il soccorso bianco: i tre senatori dell’Udc Cesa, De Poli e Binetti, oggi federati nel gruppo con Forza Italia, si staccherebbero per dare vita, con altri tre azzurri, a un gruppo nuovo, PPE-Udc.

La Binetti lo dice in chiaro: "Se Conte aderisce ai nostri valori in modo chiaro, perché no?". Conte se la ride e pregusta la vittoria della sfida al Senato, ma il Pd sta per ritrovarsi con la ex teodem Binetti, vicina alle posizioni ultraconservatrici della Chiesa cattolica, ministra della Famiglia.

In prospettiva, l’Udc, Rotondi e la sua neo-Dc, già vicina a Conte, Tabacci e il suo Centro democratico, possono dar vita, domani, al partito di Conte. Con la Binetti alla Famiglia, il ‘responsabile’ Merlo, del Maie, farà il ministro un dicastero di spesa, l’Agricoltura, e la delega ai servizi andrebbe al fidato – per palazzo Chigi – generale Vecchione, capo del Dis.

Il Pd se la ride meno. Non a caso, specie tra i gruppi dem, dove ancora albergano molti eletti di provenienza ex renziani (è Base riformista, la corrente di Lotti e Guerini, la più consistente, nei gruppi), i mal di pancia contro la svolta di Conte ieri abbondavano. Zingaretti e Orlando, ma anche Delrio, se ne sono accorti e hanno cercato di correre ai ripari. "Ora bisogna correre – ha detto il segretario –. I temi che avevamo posto chiedendo la verifica di governo sono ancora là, dalle riforme (elettorale e istituzionali) alla scuola al lavoro". E "non si governa con un voto in più, serve un progetto", ha rincarato la dose Orlando mentre Delrio ha chiesto di "mettere i punti fermi".

Insomma, se nascerà, come pare, non il governo Conte ter, ma il Conte ‘bis due’, una sorta di novello ippogrifo, cioè l’attuale governo riattato con un semplice rimpasto interno, nel Pd non saranno in pochi quelli che avranno tanto da ridire.

Certo è che, però, per dirla col tennis, Conte sta per gridare il suo finale "game, set, match" (gioco, partita, incontro). Lunedì, alla Camera dei Deputati, non vi è dubbio che la fiducia al governo Conte prenderà ben più dei 316 voti (il quorum) sui 630 componenti dell’assemblea. Il problema era il giorno dopo al Senato.

La maggioranza di governo che, con Iv, godeva, sulla carta, di circa 168 voti (quorum fissato a 161 su 321 membri totali, compresi i sei senatori a vita), tracolla, senza i 18 senatori di Iv, a 150151 voti. Compresi i 5 di LeU, 5 ex M5s che già votavano con il governo, i tre del Maie, i 78 senatori delle Autonomie. Ne servono almeno altri 11, meglio se sono 15, e non ’a vita’. Cinque o sei sono già stati raccattati tra ex M5s ed ex di altri gruppi, pronti a iscriversi a ‘Maie-Italia 2023’, ma non bastano per compensare i 18 renziani, sempre che restino tali. Ecco il perché della centralità dei tre senatori dell’Udc: darebbero a Conte la certezza di superare quota 161. Quorum che, formalmente, non serve ("Basta che i sì battano i no" dice, a ogni pié sospinto, Stefano Ceccanti) ma che rappresenta una soglia ‘politica’ e ‘psicologica’.

L’obiettivo di Renzi è invece di tenere ‘sotto’ quota 161 il governo per dimostrare Conte ha varato un governo di minoranza e porre la questione, il giorno dopo, al Colle.