In programma l’ultimo horror Ora al cinema si impara a sparare

Leopoli, il Lviv Film Center è diventato un centro di accoglienza. E in sala si tengono corsi per usare le armi

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di Salvatore

Garzillo

LEOPOLI (Ucraina)

Alle grandi vetrate c’è ancora appeso il poster dell’ultimo film proiettato, Assassinio sul Nilo. Fino a 12 giorni fa questo posto era quello che sembra, un cinema. Fino a 12 giorni fa Andriy era il direttore, aveva un lavoro rispettabile e una grande passione per le pellicole. Fino a 12 giorni fa sul tetto di questa struttura organizzavano aperitivi e – ci dicono – servivano ottimi cocktail. Sembra un secolo fa. Ora il Lviv Film Center è un centro di accoglienza per rifugiati che scappano dall’est, Andriy organizza corsi per maneggiare armi nella sala principale e sul tetto insegnano a fabbricare molotov. Lo chiamano il "bandera smoothies", proprio come un cocktail da servire a Putin.

Sulle pareti, accanto ai ritratti dei più importanti registi e attori ucraini, adesso ci sono fogli stampati con un’unica parola in cirillico: rifugio. Un labirinto di corridoi porta al piano interrato che in tempo di pace è utilizzato come deposito di scena e archivio delle bobine. Sul pavimento ci sono materassini per una trentina di persone, alcuni bambini colorano lo spazio riuscendo in qualche modo a giocare.

Tanya ha circa 60 anni e arriva da Kharkiv ma lei la chiama Kharkov, in russo. I bombardamenti dei giorni scorsi le hanno tolto tutto ma la sua lingua resta quella “degli invasori”, come capita a milioni di ucraini russofoni che combattono una doppia guerra emotiva. Alle sue spalle c’è una grande coperta gialla e azzurra, i colori dell’Ucraina. "Ho lasciato mio figlio a combattere nelle unità territoriali di difesa, non so dove sia né se sia ancora vivo. Per questo vorrei dire alle madri russe di fermare i loro figli. Non lasciateli partire, non fateli andare incontro alla morte". Tanya è convinta che l’Ucraina vincerà ma al momento la sua vita è chiusa in un open space assieme a sconosciuti che stanno diventando la sua famiglia. "Vivevamo in pace, non avevo mai sentito il rumore di un missile. La prima volta è stato spaventoso, poi ho iniziato a pregare che cadesse lontano da casa mia finché non c’è stato più spazio per sperare. Sono scappata senza voltarmi".

Dall’altro lato dello stanzone c’è un ragazzino smilzo che tira pugni a vuoto, ha la tecnica precisa di un pugile. "Mi chiamo Artem, faccio Mma (arti marziali miste, ndr) da quando sono ragazzino – racconta mentre ripone con cura i suoi guantoni blu – Quando siamo scappati li ho portati con me".

Ha ricavato il suo spazio vitale accanto a vecchi bersagli per il tiro con l’arco. Arriva da Zaporizhzhya, la città che i russi hanno puntato per impadronirsi della centrale nucleare. È riuscito a fuggire assieme alla madre e due fratellini, del padre non c’è traccia ed è meglio non domandare. "Ho 16 anni, non posso entrare nell’esercito però vorrei tanto combattere per il mio Paese. Ma ormai devo prendermi cura della mia famiglia, combatterò solo sul ring".

Intanto lui, come tanti altri, segue i workshop per fabbricare le molotov con la ricetta segreta di Andriy e per imparare ad assemblare e utilizzare pistole e fucili. Le giornate sono scandite da questi appuntamenti. Dodici giorni fa nel foyer del cinema c’era la coda per comprare i popcorn, adesso le persone in attesa davanti alla sala principale aspettano per scoprire come si infila il caricatore di un fucile automatico. Osservano i “professori” sul palco seduti comodamente sulle poltroncine in velluto rosso, tutti sperano di non dover mai mettere in pratica i consigli. La scena è surreale. Andriy ne è sicuro, se non fosse la realtà, sarebbe un ottimo soggetto per un film.