Venerdì 19 Aprile 2024

In prima linea I Balcani, il calcio, gli amici Grinta fuori e dentro il campo

Ha vissuto gli orrori delle guerre e ha sempre rivendicato l’orgoglio di essere serbo. Le parole contro i bombardamenti della Nato. I suoi metodi duri in allenamento

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ROMA

La leucemia alla fine ha avuto la meglio su Sinisa Mihajlovic: a 53 anni s’è dovuto arrendere, al termine di una vita vissuta sempre da guerriero. Nato a Vukovar, madre croata e padre serbo, Sinisa, dopo aver vissuto gli orrori della guerra, si mette in luce con la Stella Rossa, vincendo la Coppa dei Campioni a 22 anni. Nel 1992 arriva a Roma, dove conoscerà anche la futura moglie Arianna (che gli ha dato cinque figli). Nel 1999 è alla Lazio: sono gli anni della guerra per il Kosovo e quando la Nato bombarda Belgrado, con gli aerei che partono dalle basi in Italia, lui non nasconde l’orgoglio di essere serbo. Come non rinnega l’amicizia per Zeliko Raznjatovic, ex capo ultrà della Stella Rossa, il comandante Arkan. Col connazionale Dejan Stankovic, nel maggio 1999, a Udine gioca col lutto al braccio e, dopo aver segnato su rigore, mostra la maglietta bianca con il bersaglio e la scritta "target", simbolo di quanti protestano per gli ordigni contro la Serbia.

Da allenatore, si guadagna il soprannome di “sergente“ per i pesanti metodi di allenamento.