Venerdì 19 Aprile 2024

Coronavirus in Italia a due velocità. L'ipotesi: al Nord ora ci sono più anticorpi

Fondazione Gimbe: il Sud è meno protetto, nelle regioni settentrionali i contagi passati fanno la differenza. Comunità scientifica divisa

Il rapporto positivi / casi testati (22-29 settembre)

Il rapporto positivi / casi testati (22-29 settembre)

"Inizia a delinearsi una nuova geografia nella diffusione del Coronavirus, che sembra stia viaggiando in Italia a due velocità". La distinzione, per Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe che redige settimanalmente un rapporto sui contagi, va fatta tra Nord e Sud. E – sempre secondo Cartabellotta – gli ultimi dati lasciano ipotizzare che la minor percentuale di positivi sui tamponi effettuati in alcune regioni settentrionali possa in parte essere dovuta all’aumento dei soggetti protetti da anticorpi, la tanto sospirata immunità di gregge.

"In particolare, nella settimana 23-29 settembre il rapporto positivi su casi testati – spiega il numero uno della Gimbe – è sotto la media nazionale (3,1%) in alcune regioni del Nord fortemente colpite dall’emergenza, come la Lombardia (1,9%) e l’Emilia Romagna (2,2%), mentre è superiore in Campania (5,4%), Sardegna (4,3%) e Sicilia (3,5%". "Il differente impatto della pandemia tra Nord e Sud emerge in maniera più netta – aggiunge – monitorando la percentuale dei casi attivi ospedalizzati che in numerose regioni del Centro-Sud è nettamente superiore alla media nazionale del 6,6%: Sicilia (11,1%), Lazio (10,2%), Puglia (9,2%)". La visione di Cartabellotta, in merito all’auspicabile immunità di gregge, è condivisa parzialmente dalla comunità scientifica.

"Non concordo di frequente con le posizioni del dottor Cartabellotta – afferma Matteo Bassetti, ordinario di Malattie infettive e primario al San Martino di Genova –, ma in questo caso posso essere d’accordo. Non parlerei però di una vera e propria immunità di gregge, piuttosto del fatto che il virus fa più fatica ad attecchire nelle regioni dove nei mesi scorsi i numeri dei contagi sono stati rilevanti per la presenza di un maggior numero di potenziali immunizzati. Aggiungerei anche la maggiore esperienza delle strutture sanitarie del Nord nel tracciare e circoscrivere i contagi, acquisita proprio fronteggiando i mesi più critici della pandemia".

Più critico Massimo Clementi, professore di Microbiologia e Virologia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, Direttore del laboratorio di Microbiologia e Virologia dell’Ospedale San Raffaele. "Gli studi immunologici sul virus sono ancora in corso, è prematuro trarre qualunque conclusione",taglia corto.

Scettico pure Donato Greco, napoletano, specializzato in malattie infettive e tropicali, igiene e medicina preventiva e statistica sanitaria, ed ex direttore del Centro nazionale di epidemiologia. "Da un punto di vista strettamente scientifico – dice – si può citare l’ immunità di gregge solo quando la percentuale degli immunizzati raggiunge il 90 per cento".

"Il tema è da considerare attentamente – conclude Pierluigi Lopalco professore di igiene all’università di Pisa – perché non conosciamo ancora la durata della protezione dalla malattia e non sappiamo se le persone che hanno contratto l’infezione sono immunizzate a loro volta. Interrogativi importanti che in mancanza di risposte certe, potrebbero dare luogo a ipotesi fuorvianti. Inoltre in Italia le zone dove si registra una percentuale di soggetti che potrebbe garantire una sorta di immunità collettiva (60%) sono davvero poche".