Giovedì 18 Aprile 2024
RITA BARTOLOMEI
Cronaca

"In famiglia si rifiuta la diversità. Dopo tanto dolore, ora mia figlia è serena"

"Chatto da un anno e mezzo con la madre di un 14enne . Non vuole incontrarmi. per paura e vergogna"

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Udine, 14 settembre 2020 - Anna Masutti, 46 anni, infermiera a Udine e mamma. Ha tre figlie di 11, 16 e 18 anni. La più grande, Maddalena, è lesbica. Anni di sofferenza prima del coming out. Notizia choc: a Napoli un trentenne ha investito la sorella per "darle una lezione", aveva una relazione con Ciro, un trans. Maria Paola Gaglione  è morta a 20 anni, lui ha detto: era stata infettata. “Sono sincera, mi ha fatto una grande tristezza anche questo fratello. Vittima di un’ignoranza profonda e diffusa. Soprattutto tra i giovani“.  Eppure proprio loro dovrebbero essere più pronti a capire. "Invece no, soprattutto in certi contesti di degrado. E la cosa mi preoccupa molto. Per questo è importante andare nelle scuole, nelle strade, in certi quartieri. Dimostrare che siamo genitori normali con figli normalissimi, che stanno bene. Lo stiamo facendo come Agedo, l'associazione genitori di ragazzi gay. Le famiglie non parlano di omosessualità e violenza. Soprattutto di omosessualità. Anche perché non hanno competenza. Alla fine si pensa sempre che tocchi agli altri". Lei è stata sempre a fianco di sua figlia. "Maddalena ha sofferto tantissimo, non riusciva a capire in che modo fosse diversa dalle sorelle. Che erano più femminili. ‘Normali’, secondo lei. Si sentiva diversa". Come hanno reagito le persone attorno a voi? "Una signora mi ha fatto molto pensare. Una sera, a un’iniziativa dell’Agedo, mi fa: ma veramente anche a lei è capitata una figlia omosessuale? Sembra così carina, così normale...". Prevale la vergogna? "Chatto da un anno e mezzo con una mamma. Non l’ho mai vista in viso, non vuole neanche incontrami. Ha paura che vedendomi bere il caffè con lei al bar qualcuno possa associare". Torniamo al concetto dell’infettare? "Nel 2020 lo pensano in troppi". Avete alle spalle anni dolorosi. "In quarta-quinta elementare si è spento un interruttore, io la racconto sempre così. Maddalena fino a quel momento era stata una ragazzina felice. Ha cominciato a chiudersi in se stessa, a impallidire, a sfiorire".  In famiglia cosa avete pensato? "Due anni prima mi ero separata da suo padre. Abbiamo dato la colpa a quello. Non cercavamo altre cause. Lei si arrampicava sugli alberi, si vestiva da Zorro a Carnevale. L’abbiamo sempre trattata da maschio, quello che voleva. Noi genitori, la nonna, gli zii. Tutti abbiamo accettato questo comportamento". Il momento più difficile? "Alle medie la situazione è peggiorata. Maddalena andava a scuola con la felpa e il cappuccio in testa. Entravano tutti in palestra, a lei veniva un attacco di panico, ogni volta uscivo dal lavoro e la portavo a casa. Non riusciva a entrare in un supermercato, perché c’era gente". Come l’ha aiutata? "Ho cominciato a portarla ovunque. Psicologo, psichiatra, ma anche omeopatia... Le cose più assurde che possono venire in mente. Le ho provate tutte. Dalla quinta elementare alla prima superiore. Alla fine la seguiva la neuropsichiatria". Ha trovato un medico illuminato? "Assolutamente no. Mi dicevano che aveva una depressione da curare con i farmaci, ma io sono sempre stata contraria. Abbiamo perso anni di vita, non solo mia figlia ma anch’io e le sorelle. Che hanno vissuto nell’ombra, tutte le mie energie erano per Maddalena. Proprio noi, una famiglia aperta, con gli strumenti culturali per capire, senza problemi economici". Ha avuto momenti di cedimento? "A un certo punto mi ero rassegnata. Mi ripetevo, bene mia figlia è così. Ha una depressione, non avrà un futuro, starà in casa con me. E poi finalmente è arrivato il chiarimento". Un giorno preciso? «Oh sì, è stato l’11 ottobre di 3 anni fa, il coming out day. Prima Maddalena ne ha parlato con gli amici. Loro l’hanno convinta, lo devi dire ai tuoi. Era pallida, sudata, nervosa. Lo abbiamo detto insieme. Da quel giorno festeggiamo due compleanni". Ma quando si spengono i riflettori, la vita com’è? Come vive oggi Maddalena? "Maddalena è serena. Lei era stata etichettata anche da noi come una ragazza persa. L’avevamo parcheggiata in un istituto professionale per capire come  farle avere un minimo di futuro. Lei quest’etichetta se l’era bella appiccicata addosso. La scuola invece ha fatto molto la differenza". Il centro professionale.

"Maddalena è entrata con un curriculum di tutto rispetto, aveva una cartella della neuropsichiatria alta sette centimetri. Preferirei non fare il nome della scuola, altrimenti le scarichiamo addosso di tutto e di più. Quando l’hanno vista arrivare si sono detti, mamma mia, cosa facciamo di questa? Non parla, è mummificata. Alla fine si è trovata benissimo. Ha avuto insegnanti che hanno riconosciuto i suoi talenti.  In tutti questi anni di chiusura, di vita lontana dalla società, ha sempre letto e studiato. Dice, vivevo dentro una bolla. Quando è uscita da questa bolla, ci ha fatto vedere la ricchezza che  aveva coltivato dentro di sé". Lei racconta questi anni di dolore in modo molto solare. Ma ci sono stati ritorni bui? "Mia figlia dice di no, io le credo. E' andata a vivere da sola, in un’altra regione. Ha una fidanzata. Se penso che non era in grado neanche di andare a comprare un litro di latte...".

E' un'attivista, come lei? "No, non vuole impegnarsi nell’associazione, ha appena cominciato a fare la sua vita.  Io faccio coming out ogni giorno". Cosa vuol dire? "Che quando arriva mia figlia con la fidanzata,  la presento così. Quindi sono mamma di una ragazza omosessuale. Sono una persona piuttosto conosciuta a livello locale, lavoro in uno studio medico. Non mi nascondo. Senza andare a urlare, date diritti ai nostri figli, ma facendo semplicemente informazione". Bisogna essere preparati.

"Quello che è successo a mia figlia impone anche una conoscenza. Ho dovuto studiare, leggere, capire in che mondo mi stavo muovendo,  a che mondo consegnavo Maddalena. Ed è stato un lavoro profondo. I genitori di Napoli non hanno potuto farlo". Capire è un lavoro. "La conoscenza dei nostri figli  impegna moltissimo. Molte volte non si può fare da soli. Per questo sono importanti le associazioni. Direi a questa mamma di elaborare il lutto insieme". Non è spaventata dal compito? "Io no,  mio marito direi di sì. Mi espongo perché penso:  se la gente mi vede parlare, mi vede in giro con mia figlia, con la fidanzata di mia figlia... Qualcosa devo smuovere. Non sono riuscita ad aiutare Maddalena quando aveva bisogno. Se avessi incontrato qualcuno, un medico, una mamma, che mi mostrasse una via... Non avevo mai conosciuto un omosessuale, non se ne parlava in casa. Non avevamo occasione di confrontarci. Cosa che adesso cerco di fare sempre. Forse anche troppo. Quando c’invitano a cena, prima o dopo il discorso cade lì. E mio marito, no, ancora?".