"In branco si sentono onnipotenti" Il prefetto: spesso agiscono per noia

L’esperto del Viminale, Rizzi: "Proviamo a fermare le bande sul nascere, ma la prevenzione funziona di più"

"La ricerca d’identità, l’importanza di appartenere ad un gruppo, il senso d’onnipotenza tipico della giovane età, la vita che si sviluppa soprattutto sui social, le restrizioni causate da lockdown e pandemia sono soltanto alcune delle cause di un fenomeno definito delle baby gang o della malamovida. Il nostro compito è quello di intercettare i fenomeni di disagio sul nascere, intervenire per evitare un’escalation della violenza e, soprattutto, perché le vittime abbiano fiducia nelle forze di polizia e chiedano subito aiuto". Questo il quadro tracciato dal prefetto Vittorio Rizzi, vice direttore generale della Pubblica Sicurezza in occasione della pubblicazione del rapporto ‘Le Gang Giovanili in Italia’, presentato dal centro di ricerca Transcrime dell’Università Cattolica, dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza e dal Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità.

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Le gang giovanili vengono spesso associate ai minori stranieri. È corretto?

"Il dato complessivo mette in evidenza una maggiore presenza di italiani tra i membri delle gang. Vi sono fenomeni, come quello delle bande latino-americane, che colpiscono di più a livello mediatico e risultano, dunque, maggiormente percepiti".

Le gang di giovani italiani hanno legami con la criminalità organizzata?

"Sì, specialmente nel Sud del Paese. Nei casi in cui l’azione diventa funzionale a quelli che sono gli interessi della criminalità organizzata l’età minore costituisce un vantaggio perché in termini di punibilità è possibile sottrarsi all’azione penale. Spesso alla base vi è un’ispirazione legata a degli eroi negativi. Colpisce, per esempio, il caso della gang nel Vibonese che ha riportato in vita la ‘Banda della Magliana’".

Tra le quattro tipologie di gang presenti in Italia figurano gruppi fluidi, privi di una struttura definita e di fini criminali specifici. A muoverli è la noia?

"Direi proprio di sì. Al livello più basso della ‘piramide dell’odio’ vi è la sottovalutazione del disvalore sociale di determinate condotte. Questi gruppi più fluidi, senza un simbolo, senza una struttura o un’organizzazione di riferimento, sono espressione di un disagio generalizzato familiare, sociale, culturale, scolastico o economico che si manifesta in queste modalità".

Il Covid ha avuto un impatto sul fenomeno delle gang?

"Nell’analisi del fenomeno delle gang giovanili va tenuto presente il particolarissimo momento storico con quasi due anni in cui la forma di aggregazione virtuale ha sostituito più sani e normali modelli di integrazione. Elemento, quest’ultimo, che evidentemente può essere stato un fattore di accelerazione patologico".

Quanto pesa nell’azione di contrasto il senso di impunità che sembrano provare i minori?

"La giustizia minorile interviene con strumenti molto diversi perché molto diversa è la psicologia del minore. Si tratta di fenomeni paradossalmente più semplici da combattere sotto il profilo della dimensione criminale soprattutto quando ci troviamo di fronte a strutture non stabili e non collegate alla criminalità organizzata. L’azione dissuasiva data dal contrasto è, tuttavia, di gran lunga meno significativa di quella che può essere l’azione di prevenzione che viene fatta nelle famiglie, nelle scuole o attraverso i servizi sociali".