Cesare
De Carlo
Ma cosa stiamo combinando? Il World Food Program ci fa sapere che da marzo a oggi altri 47 milioni di persone rischiano di morire di fame. Il che porta il totale mondiale a 345 milioni. Causa principale: la guerra in Ucraina. L’export di grano è bloccato. Il poco disponibile viene venduto a prezzi impossibili per chi prende uno o due dollari al giorno. E poi c’è la scarsità di carburante, anch’esso legato al ricatto russo: raro e caro il trasporto di acqua in aree già afflitte dalla siccità. Scrive il Wall Street Journal: si tratta di una combinazione di fattori senza precedenti. Chi ne soffre di più sono il Corno d’Africa (Somalia, Etiopia), Sudan del Sud e poi lo Yemen in guerra civile e l’Afghanistan tornato ai talebani dopo la fuga notturna di Biden. Infine c’è il terrorismo islamico. Al Shabaab si richiama alla mai defunta Al Qaeda e se la prende anche con i civili e con le organizzazioni umanitarie. Lacrime su lacrime. Torniamo allora all’interrogativo di partenza: non sarebbe il caso di riconsiderare la nostra strategia sull’Ucraina? La solidarietà non si discute, ma – come insegna Henry Kissinger, il teorico della realpolitik – i rapporti internazionali non possono affidarsi solo ai buoni sentimenti. Putin è un aggressore, su questo non ci sono dubbi. Ma è un fatto incontrovertibile che sia lui a menare il gioco. Le sue controsanzioni si rivelano più efficaci delle nostre sanzioni. A stare peggio siamo noi e non lui. Vende la metà del gas e guadagna il doppio. I danni economici sono trascurabili per la semplice ragione che non ha un’economia. Avete mai visto un’etichetta Made in Russia? Che fare? Abbandonare l’Ucraina al suo destino? Ovviamente no. Ma Kissinger insiste sul rovesciamento delle priorità. Non più, come dice il confuso Biden, trascinare in lungo la guerra per indebolire la Russia, ma piuttosto puntare sul cessate il fuoco. Anche a costo di concessioni in linea (appunto) con la realpolitik. ([email protected])