In 30 dicono addio al Pd "Non ci sentiamo a casa"

Liguria, tutti con Calenda. La minoranza dem: non si può ignorare il disagio

Una trentina di esponenti dem ligure lasciano il Pd per Azione contestando la "netta svolta a sinistra" impressa dalla segretaria Elly Schlein. Tra questi il consigliere regionale Pippo Rossetti e la consigliera comunale genovese Cristina Lodi, più votata alle scorse elezioni. Puntuale e un po’ peloso si leva il coro di allarme delle minoranze rivolto al gruppo dirigente. Che a sua volta si trincera dietro un sorprendente mutismo, affidando il rammarico ai solo vertici regionali e genovesi. A rendere ancor più pepata la vicenda, il fatto che al tempo stesso Azione e +Europa avrebbero già avviato sondaggi e pressing sul Nazareno per "un listone alle Europee" sotto le insegna del Pd, così da dribblare il rischioso scoglio del 4% per cui c’è la concorrenza del Centro renziano.

Le motivazioni dei 31 transfughi non ammettono fraintendimenti. Con la svolta impressa dalla nuova leadership "viene sostanzialmente negato il processo del riformismo messo in campo negli ultimi dieci anni", sostengono i 31 liguri, affermando che, per questo, "non ci sentiamo più a casa nostra". Piuttosto è "il momento di agire con coraggio e aderire al progetto riformista di Azione di Calenda". Il quale non può che spalancare le porte ai nuovi arrivati, che rappresentano un punto segnato anche a scapito del competitor al centro Matteo Renzi. "Le porte sono aperte per liberal-democratici, popolari e riformisti – sostiene il leader di Azione – Noi siamo riformatori, non centristi".

Un distinguo chiaro dal progetto renziano. Per quanto i gruppi siano ancora uniti in Parlamento, le vie si vanno appunto divaricando in vista del voto per Bruxelles. E la questione non è irrilevante, in quanto lo sbarramento al 4% lascia possibilità a una sola lista. Stando ai numeri sarebbe la probabile intesa Azione+Europa – che convergono sulla candidatura di Marco Cappato alle suppletive di Monza – la più quotata per superare la soglia. E tuttavia si ricorrono le indiscrezioni relative a una convergenza sotto le insegne del Pd. Ipotesi che avvantaggerebbe in parte Schlein per superare quota 20%, ma anche la lista del Centro renziana, che senza concorrenza potrebbe aspirare a superare la soglia del 4.

Dopo l’addio dell’ex capogruppo al Senato Andrea Marcucci e il passaggio di Enrico Borghi nelle file di Italia viva, si capisce che nella minoranza riformista del Pd squillino gli allarmi. "Amareggiato", Alessandro Alfieri. "Dispiaciuta", Pina Picierno. E con lei anche il presidente del Copasir, Lorenzo Guerini. Che non condivide le uscite: "Ma forse è il caso di interrogarci tutti, a partire da chi ha le più alte responsabilità, di fronte a queste e altre uscite. Al netto delle motivazioni personali, c’è un disagio che sarebbe sbagliato ignorare. Ne va dell’identità e del progetto del Pd, comunità plurale e inclusiva cui tutti teniamo". Scandisce, dal canto suo, Piero Fassino: "Un atto che non può essere archiviato con un’alzata di spalle: ogni abbandono è una perdita per un partito nato per unire i progressisti". Un refrain, quello sul pluralismo, che risuona nel Pd dal momento dell’elezione di Schlein. Che per parte sua rimanda al commento dei vertici locali, Davide Natale e Simone D’Angelo: sorpresi, dispiaciuti e convinti che il Pd "rappresenti oggi in Liguria l’unica casa certa per la costruzione di un’alternativa al malgoverno della destra".

Cosimo Rossi