Martedì 16 Aprile 2024

Il virus, la paura e il prezzo della normalità

Sergio

Gioli

Alla fine ne siamo usciti. Ci apprestiamo a celebrare il primo Natale normale da tre anni a questa parte. Di questi tempi due anni fa (e in misura minore l’anno scorso) eravamo alle prese con misure draconiane: il divieto di fare più di duecento passi oltre la soglia di casa, il coprifuoco, il divieto di visitare persone care ricoverate. Abbiamo accettato tutto, forse anche troppo. Abbiamo sperimentato la soppressione di libertà fondamentali senza battere ciglio, senza aprire _ ammettiamolo _ neppure un vero dibattito. Giusto? Sbagliato? Ci hanno detto che bisognava fare così e lo abbiamo fatto. Poi sono arrivati i vaccini a salvarci e paradossalmente solo allora si sono mobilitate le piazze. Nessuno ha fiatato quando ci hanno tolto la libertà ma molti si sono indignati quando vaccini e green pass ce l’hanno restituita. Di nuovo per paura: prima della malattia, poi della cura.

Dunque sì, ne siamo usciti. Domani è Natale e nessuno verrà a sindacare su conviventi, parenti stretti e affetti stabili (anche questo abbiamo dovuto subire, lo Stato che fa la graduatoria dei sentimenti). Dentro ci portiamo ancora un po’ di paura. Quella che ci fa pensare se stringere o meno una mano tesa, la paura che ci fa guardare intorno circospetti quando entriamo in un locale affollato. Quello che invece – temo – non ci portiamo dentro è il rimorso che dovremmo provare. Perché se noi adulti ci siamo scrollati di dosso l’emergenza, tanti ragazzi se sono rimasti schiacciati. A loro sono stati rubati due anni di vita. No, peggio, i migliori due anni di vita. Glieli ha rubati un virus maledetto, certo, ma glieli abbiamo rubati anche noi che non abbiamo avuto abbastanza coraggio, che non li abbiamo né capiti né difesi, che, ad esempio, sempre per paura, abbiamo consentito un prolungamento spropositato della chiusura delle scuole.

Quindi sì, oggi ne siamo usciti. Ma non dimentichiamoci a quale prezzo.