di Antonio Lecci BRESCELLO (Reggio Emilia) Se oggi tutto il mondo pensa a Brescello come il piccolo paese di Peppone e don Camillo – il sindaco comunista e il prete democristiano – è grazie a un socialista. Ironia della storia, risvolto che pochi conoscono della straordinaria saga cinematografica tratta dai libri di Giovannino Guareschi. Il socialista dietro le quinte si chiamava Afro Bettati ed è morto a 102 anni nella cittadina che ha guidato come sindaco – lui sì un vero Peppone, ma più rifomista si direbbe oggi – dal 1951 al 1970. Sindaco socialista, appunto. Caparbio, intuitivo e soprattutto coraggioso, a tal punto da opporsi ai comunisti che nel 1951 contestavano la realizzazione del primo film della saga nella Bassa reggiana. Lui, Bettati, sfidò di fatto l’Emilia rossa. Mentre il Pci tuonava contro Giovannino Guareschi e invitava il popolo a non aiutare la produzione, lui faceva affiggere manifesti a Brescello con cui incitava i suoi concittadini a collaborare con il regista e la troupe. "Date il meglio di voi nei confronti degli ospiti di rango internazionale", era l’appello controcorrente del sindaco.  Storia nella storia, racconto di un’epoca che oggi sembra lontana anni luce. Bettati era stato eletto da pochi mesi quando nel settembre 1951 iniziarono le riprese. Il Pci, che contestava le storie di Guareschi e di conseguenza le pellicole sul Mondo Piccolo che ne sarebbero derivate, fece muro: dopo i primi ciak il partito organizzò un dibattito pubblico nel teatro di Brescello. Un dirigente Pci dell’epoca, Renzo Bonazzi – destinato a diventare poi sindaco di Reggio Emilia e senatore –, disse: "Le storie di Guareschi non valgono nulla. E anche il film sulle sue storie è destinato a non valere nulla". Per tutta risposta il produttore Rizzoli organizzò, nell’ottobre 1951, un altro dibattito pubblico, stavolta al teatro Valli di Reggio. Un’assemblea quasi tumultuosa conclusa da Giovannino Guareschi: "Le mie storie non valgono nulla? Ma se sono riuscito perfino a far diventare simpatico un comunista". Frase che scatenò l’applauso generale. L’incontro ebbe una tale eco mediatica che la produzione del film ritirò i 18 milioni di lire destinati alla promozione del primo film di Peppone e don Camillo. La pubblicità alla pellicola arrivò gratis dai tanti articoli giornalistici di quei giorni. Come ricorda Andrea Setti, giornalista brescellese autore del libro ’Amici Nemici’ con Ezio Aldoni e Gianfranco Miro Gori, all’epoca nessun regista italiano contattato dalla produzione Rizzoli accettò di girare il film: il compito veniva giudicato troppo rischioso in un periodo di forte opposizione tra il Partito Comunista e la Democrazia Cristiana. Rifiutarono l’incarico Mario Camerini, Vittorio De Sica, Luigi Zampa e Renato Castellani.  La scelta alla fine cadde sul francese Julien Duvivier, che cambiò in parte la sceneggiatura, scatenando le ire di Guareschi. E fu proprio Duvivier a scegliere Brescello, consigliato dall’allora presidente dell’Apt di Parma. "Ici, ici voilà le pays", le parole del regista incantato dalla piazza brescellese, con i portici, la vista sull’argine maestro del Po, ma sopratutto la chiesa parrocchiale e il municipio affacciati sulla stessa area: ma di traverso, non di fronte. Come a "controllarsi" a vicenda. Non aveva fatto i conti, Duvivier, con i comunisti veri dell’epoca. Fosse stato per quel Pci, altro che film. Guareschi era additato come propagandista anticomunista, fin dal 1948. Ma senza i magnifici film del regista francese, Brescello non sarebba stato per nessuno il paese di Peppone e don Camillo (Guareschi non cita mai Brescello nei suoi libri). Fama che ha portato nella cittadina migliaia di turisti da tutto il mondo, incantati dal Mondo piccolo. Il sindaco Bettati era fiero della sua battaglia. "Nel 1951 a Brescello non esisteva nessuna strada asfaltata – raccontava –, anni dopo erano tutte sicure e con l’asfalto". Oggi lo definiremmo marketing territoriale. Al tempo fu solo un’intuizione geniale.

Cronaca

di Antonio Lecci
BRESCELLO (Reggio Emilia)
Se oggi tutto il mondo pensa a Brescello come il piccolo paese di Peppone e don Camillo – il sindaco comunista e il prete democristiano – è grazie a un socialista. Ironia della storia, risvolto che pochi conoscono della straordinaria saga cinematografica tratta dai libri di Giovannino Guareschi. Il socialista dietro le quinte si chiamava Afro Bettati ed è morto a 102 anni nella cittadina che ha guidato come sindaco – lui sì un vero Peppone, ma più rifomista si direbbe oggi – dal 1951 al 1970. Sindaco socialista, appunto. Caparbio, intuitivo e soprattutto coraggioso, a tal punto da opporsi ai comunisti che nel 1951 contestavano la realizzazione del primo film della saga nella Bassa reggiana. Lui, Bettati, sfidò di fatto l’Emilia rossa. Mentre il Pci tuonava contro Giovannino Guareschi e invitava il popolo a non aiutare la produzione, lui faceva affiggere manifesti a Brescello con cui incitava i suoi concittadini a collaborare con il regista e la troupe. "Date il meglio di voi nei confronti degli ospiti di rango internazionale", era l’appello controcorrente del sindaco. 
Storia nella storia, racconto di un’epoca che oggi sembra lontana anni luce. Bettati era stato eletto da pochi mesi quando nel settembre 1951 iniziarono le riprese. Il Pci, che contestava le storie di Guareschi e di conseguenza le pellicole sul Mondo Piccolo che ne sarebbero derivate, fece muro: dopo i primi ciak il partito organizzò un dibattito pubblico nel teatro di Brescello. Un dirigente Pci dell’epoca, Renzo Bonazzi – destinato a diventare poi sindaco di Reggio Emilia e senatore –, disse: "Le storie di Guareschi non valgono nulla. E anche il film sulle sue storie è destinato a non valere nulla". Per tutta risposta il produttore Rizzoli organizzò, nell’ottobre 1951, un altro dibattito pubblico, stavolta al teatro Valli di Reggio. Un’assemblea quasi tumultuosa conclusa da Giovannino Guareschi: "Le mie storie non valgono nulla? Ma se sono riuscito perfino a far diventare simpatico un comunista". Frase che scatenò l’applauso generale. L’incontro ebbe una tale eco mediatica che la produzione del film ritirò i 18 milioni di lire destinati alla promozione del primo film di Peppone e don Camillo. La pubblicità alla pellicola arrivò gratis dai tanti articoli giornalistici di quei giorni.
Come ricorda Andrea Setti, giornalista brescellese autore del libro ’Amici Nemici’ con Ezio Aldoni e Gianfranco Miro Gori, all’epoca nessun regista italiano contattato dalla produzione Rizzoli accettò di girare il film: il compito veniva giudicato troppo rischioso in un periodo di forte opposizione tra il Partito Comunista e la Democrazia Cristiana. Rifiutarono l’incarico Mario Camerini, Vittorio De Sica, Luigi Zampa e Renato Castellani. 
La scelta alla fine cadde sul francese Julien Duvivier, che cambiò in parte la sceneggiatura, scatenando le ire di Guareschi. E fu proprio Duvivier a scegliere Brescello, consigliato dall’allora presidente dell’Apt di Parma. "Ici, ici voilà le pays", le parole del regista incantato dalla piazza brescellese, con i portici, la vista sull’argine maestro del Po, ma sopratutto la chiesa parrocchiale e il municipio affacciati sulla stessa area: ma di traverso, non di fronte. Come a "controllarsi" a vicenda.
Non aveva fatto i conti, Duvivier, con i comunisti veri dell’epoca. Fosse stato per quel Pci, altro che film. Guareschi era additato come propagandista anticomunista, fin dal 1948. Ma senza i magnifici film del regista francese, Brescello non sarebba stato per nessuno il paese di Peppone e don Camillo (Guareschi non cita mai Brescello nei suoi libri). Fama che ha portato nella cittadina migliaia di turisti da tutto il mondo, incantati dal Mondo piccolo.
Il sindaco Bettati era fiero della sua battaglia. "Nel 1951 a Brescello non esisteva nessuna strada asfaltata – raccontava –, anni dopo erano tutte sicure e con l’asfalto". Oggi lo definiremmo marketing territoriale. Al tempo fu solo un’intuizione geniale.

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