"Il tycoon ha sorpreso tutti. L’America rurale è con lui"

Giovanna Pajetta: Trump protagonista di un conflitto senza mediazioni. "Ha stabilito un legame fideistico con un elettorato finora senza voce"

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Roma, 5 novembre 2020 - Giovanna Pajetta, giornalista e scrittrice, una carriera al manifesto prima di un’appassionata corrispondenza da New York per Radio Radicale, alle 19.30 ora italiane si proietta oltre i misteri del voto postale: "Mi sembra che Biden alla fine ce la possa fare, ma Trump – se sconfitto di misura – proverà in tutti i modi a non riconoscere il risultato. Lo ha anticipato e lo farà. A meno che il verdetto finale non riservi altre sorprese".

Il mondo guarda gli Stati Uniti, simbolo di democrazia, e li scopre improvvisamente vulnerabili. Per responsabilità esclusiva di Trump o a causa di un sistema elettorale eccessivamente frammentato?

"Le regole delle elezioni americane sono figlie dei compromessi e della storia e, forse anche per questa obiettiva imperfezione, sono quasi sempre state terreno di fair-play a urne chiuse: con l’accettazione del risultato da parte degli sconfitti, salvi i casi effettivamente dubbi, come per esempio nel 2000 tra G.W.Bush e Al Gore, ma comunque in un clima di reciproco riconoscimento. Questa è invece la prima volta in cui un presidente uscente grida ai brogli senza che lo scrutinio di oltre 150 milioni di voti sia ancora iniziato. Ne esce scalfita l’idea della democrazia come bene supremo. Una lacerazione pericolosa, visto il ruolo degli Stati Uniti".

Venti giorni fa Trump sembrava finito: una rimonta di queste proporzioni è innaturale o invece perfettamente spiegabile in un Paese spaccato a metà, quasi due nazioni distinte che faticano a riconoscersi?

"Da autentico campione della polarizzazione Trump ha mobilitato il suo popolo dell’America rurale, operaia e di frontiera: presentandosi come protagonista del conflitto senza mediazioni, lo ha spinto in massa alle urne – anche per delegittimare il voto postale che in passato non era esclusiva democratica".

Un mezzo capolavoro?

"Sì, perché quell’elettorato senza voce dell’America profonda, che prima del 2016 votava repubblicano ma senza connessione intima con il leader, si è stretta ancor più fideisticamente attorno al suo capopopolo. Sfiorando come minimo un clamoroso sorpasso. Anche perché la campagna elettorale l’ha condotta tutta Trump coi suoi familiari, a partire dalla figlia Ivanka e dal genero Jared. Il partito è rimasto ai margini. Oscurato da uno show senza respiro".

Prima del Covid, la rielezione pareva indiscutibile. O no?

"La pandemia e gli errori commessi dal presidente, prima nel minimizzarla e poi nell’affrontarla, hanno determinato un totale cambio di scenario e di narrazione. Biden, con la sua faccia da Zio Joe, ha invece permesso a liberal, radicali, scontenti e disorientati di riconoscersi su una candidatura non divisiva: a suo modo persino seduttiva – nonostante età e gaffe – proprio per la siderale distanza da Trump".

Una pacatezza vincente, sì, ma con l’aiuto di Obama.

"L’ex presidente ha spinto con tutte le forze per la svolta. Ma l’area dem oggi è mutata. Un mondo frastagliato che include America metropolitana, generazioni digitali e rabbiose istanze di cambiamento sull’onda delle rivolte nere. Biden non si è mai sovraesposto. E in quel 3-4% di indecisi, la percentuale più bassa di tutti i tempi, ha forse trovato lo spunto per assicurarsi gli stati-chiave".

Quali scenari adesso?

"Biden, se eletto, non avrà vita facile. Alla Camera, al Senato e tra i governatori, i repubblicani non hanno certo smobilitato. Si fronteggiano due Americhe sempre più incattivite. Quanto a Trump, non sarà accompagnato dal partito repubblicano in una guerra cieca contro la democrazia. Lo stesso vice Mike Pence, incitato dal presidente in diretta tv, non si è unito agli attacchi scomposti su brogli e frodi. Qualcosa vorrà pur dire".