Sabato 20 Aprile 2024

Il superboss Cutolo muore con i suoi segreti

Aveva 79 anni, al regime del carcere duro dal 1995 era stato trasferito nel reparto sanitario. Quelle rivelazioni sul caso Moro

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di Nino Femiani

Addio al "professore" della camorra. Addio al padrino di Ottaviano (Napoli), 79 anni, morto con tutti i suoi segreti per una crisi respiratoria nell’ospedale di Parma. Da alcuni giorni era stato trasferito dal carcere di Reggio Emilia per un quadro clinico scompensato da gravi patologie come il diabete. Con lui si spegne una delle figure più carismatiche e sanguinarie della camorra napoletana, un personaggio che, per la finezza delle strategie, veniva soprannominato "o’ professore", nonostante avesse solo la licenza elementare e provenisse da una famiglia di mezzadri.

Una vera leggenda della malavita italiana, fondatore della NCO, la Nuova camorra organizzata, ispiratore di trame vere o immaginarie, nonché di film ("Il camorrista", pellicola del premio Oscar Giuseppe Tornatore, girata nel 1986). La carriera criminale di "don Rafè" inizia nel settembre del 1963, quando uccide Mario Viscido che aveva offeso la sorella Rosetta. Rimane in fuga due giorni, poi si costituisce e resta in carcere fino al 1970, ma torna libero per decorrenza dei termini. Quando la Corte di Appello di Napoli riduce la pena dell’ergastolo a 24 anni, Cutolo diventa latitante. Nel 1971 viene però nuovamente arrestato per un errore grossolano: imbocca una strada a senso unico e si trova davanti un’auto dei carabinieri.

Si racconta che grazie alla collaborazione con la ‘ndrangheta e la Banda della Magliana avesse fondato la NCO per sfidare i cartelli degli storici guappi napoletani, ma la cosa certa è che nella sua organizzazione riesce ad affiliare ben tremila camorristi, con un "indotto" di diecimila persone che lavorano per lui. Un sistema che "garantisce" chi va in galera e i familiari dei detenuti, in una catena di Sant’Antonio senza fine. La struttura è piramidale, al vertice c’è "don Rafè" (il Vangelo), sotto i Santisti (i colonnelli), poi gli Apostoli (i capizona) e, infine, i semplici affiliati. A quei tempi, grazie a complicità del sistema giudiziario, Cutolo resta a lungo uccel di bosco. Durante la latitanza nel 1978 sostiene di aver offerto ai servizi segreti il suo interessamento per rintracciare la prigione di Aldo Moro, ma che il suo aiuto viene rifiutato. Lo ribadisce qualche anno dopo, alla commissione d’inchiesta del Parlamento. Durante la latitanza va a spasso per l’Italia con i documenti di un ingegnere incensurato. "A Milano fummo bloccati dalla polizia, dopo il controllo delle generalità il capo pattuglia mi prese da parte e mi disse: attenzione ingegnere, il suo autista è un pregiudicato", racconta. Dopo il "caso" dell’assessore dc Ciro Cirillo (rapito dalle Br e liberato con la complicità della camorra cutoliana) e le polemiche che ne seguono, viene spedito all’Asinara per il carcere duro con quattro ergastoli sulle spalle. Fuori il suo esercito è in rotta. I nemici riuniti sotto le insegne della Nuova Famiglia fanno a pezzi i suoi luogotenenti e uccidono nel 1990 anche Roberto, 28 anni, l’unico figlio maschio. Si diffonde la voce di un suo imminente pentimento, che non avviene mai. Si sposa nel 1983 all’Asinara con una donna molto più giovane di lui, Immacolata Jacone, da cui ha una figlia Denise con l’inseminazione artificiale. Il suo avvocato Gaetano Aufiero tenta più volte di fargli avere i domiciliari, inutilmente. Resta al 41 bis fino alla fine.