Mercoledì 24 Aprile 2024

Il sottosegretario L’opposizione: lasci Palazzo Chigi (per ora) blinda il suo uomo

Alfredo Mantovano avverte: "L’iscrizione non è una condanna". Ma stavolta l’ipotesi del passo indietro non è più una chimera. Gli alleati stanno a guardare. Il dossier è nelle mani di Meloni

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di Antonella Coppari

Indagato o non indagato per noi pari sono. Dal vertice alla base i Fratelli d’Italia ripetono in coro il mantra. Il riferimento naturalmente è al sottosegretario Andrea Delmastro Delle Vedove, il cui nome brilla da ieri nel registro degli indagati. Embè? Cosa cambia? Assolutamente nulla, è la reazione che filtra da Palazzo Chigi. "Una iscrizione non è certo una condanna", duetta il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, e ripete: "Non c’è nulla di diverso da quanto dichiarato dalla presidente del consiglio". La quale – ancora influenzata – si collega da remoto alla riunione del Consiglio dei ministri – e non torna sull’argomento. Ci pensano i due capigruppo, Lucio Malan e Tommaso Foti, a chiarire che "i documenti che avrebbe riportato secondo il ministero della Giustizia non erano coperti da segreto, mentre sicuramente lo è l’indagine a suo carico, che invece sta sui giornali. Tutto sarà comunque chiarito".

In realtà dubbi e tentazioni di dimissioni ci sono: l’altro ieri, Delmastro ha parlato con Mantovano. "Solo un saluto", aveva minimizzato il sottosegretario. Ma forse è stata quella l’occasione in cui si sarebbe ventilata l’ipotesi di un passo indietro, ove la sua causa fosse diventata indifendibile. Non nell’immediato è chiaro: in ogni caso, sarà la premier a decidere il da farsi. Il guardasigilli Nordio, stavolta non può che restare a guardare. Vero è che nella sostanza l’iscrizione nel registro degli indagati è un atto quasi automatico, che non solo non implica una condanna, ma neppure un rinvio a giudizio. Simbolicamente, però, le cose sono ben diverse. Quell’iscrizione vuol dire che il caso non è chiuso, che gli approfondimenti necessari ci sono eccome, e insomma porta acqua, e neanche poca, al mulino delle minoranze. Che infatti tornano a chiedere la testa del sottosegretario alla Giustizia. "Le dimissioni sono doverose, non per l’indagine della procura, ma per le sue gravi responsabilità politiche e istituzionali, per la spregiudicatezza con cui ha diffuso informazioni riservate per colpire l’opposizione", tuona il Pd con le due capigruppo, Simona Malpezzi e Debora Serracchiani. "La sua posizione si aggrava – rilanciano i Cinquestelle – Delmastro deve lasciare l’incarico, e con lui Giovanni Donzelli". Sulla stessa lunghezza d’onda i Verdi, e pure i renziani non sono da meno: "Se ne deve andare per lo sprezzo che ha mostrato verso le istituzioni", dichiara Matteo Richetti. Senza contare una difesa da parte degli alleati che non si può certo definire combattiva. Maurizio Lupi (Noi moderati) si schiera apertamente con Delmastro: "L’indagine è surreale, le opposizioni si mettano l’anima in pace, non c’è motivo per cui si deve dimettere". Ma gli altri non brillano per loquacità, e Forza Italia ci tiene a far sapere che tace in nome del suo proverbiale garantismo.

Insomma, il piano giudiziario e quello politico ancora una volta si intrecciano. Impossibile dire come finirà in procura, ma presto lo scontro riprenderà in aula, quando verranno calendarizzate alla Camera le mozioni anti-Delmastro di Pd, M5s e Avs. Non che ci siano dubbi sull’esito del voto: la battaglia si combatte sul piano dell’immagine. Ma se il rinvio a giudizio dovesse arrivare, la permanenza di Delmastro in quel sottosegretariato diventerebbe una chimera.