Il sondaggista Weber "Troppi giochi tra correnti L’interesse è pari a zero"

Il direttore di Ixè: manca il dibattito sulle idee, gli elettori non sono coinvolti "Anche i candidati non presentano profili personali molto diversi tra loro"

di Nino

Femiani

È uno dei più importanti sondaggisti italiani, Roberto Weber. Triestino, è stato tra i fondatori di Swg, oggi è presidente dell’Istituto Ixè.

Dottor Weber, è il giorno dell’Assemblea Pd. Che clima si respira?

"Di assoluto disinteresse. La sensazione è che la sorte del Pd e del suo congresso interessi poco e a pochi. E questo piace a chi governa il Pd".

Intende dire che la scarsa attenzione favorisce i capibastone che hanno interesse a mettere la sordina? Non disturbare il manovratore?

"E’ così, a loro va bene che tutto si svolga sottotraccia perché così funzionano meglio i giochi di corrente".

Non è sempre stato così, non erano i capicorrente a dettare la linea dei grandi partiti, penso alla Dc o al Pci?

"E’ vero, ma c’era sempre un margine di discrezionalità che oggi è venuto completamente meno. C’era prima una presenza, un’area di opinione, che è sparita, non esiste più. Certo è un gioco legittimo, ma non lascia spazio ad alcuna suspense, già si sa come andrà a finire?".

E come andrà a finire, Weber?

"Loro lo sanno già come andrà a finire. In ogni caso, i candidati oggi in campo non manifestano alcune discriminante forte, non c’è una personalità diversa dall’altra, non c’è un progetto di partito e di società tra cui distinguere. Quando c’erano Veltroni e D’Alema sapevi che dovevi fare una scelta netta tra un partito liquido e uno strutturato. Oggi la domanda è: su chi devo puntare se sono uno simile all’altro?"

Non vorrà mica dirmi che Bonaccini è il sosia di Nardella o Schlein. O che Benifei è la fotocopia di De Micheli?

"La invito a guardare i fatti. E i fatti dicono che tutti questi hanno fatto lo stesso percorso di formazione, le stesse scuole di comunicazione e di recitazione in pubblico. Hanno imboccato anche lo stesso sentiero di scrittura creativa. Diversi candidati ma uguali nei tratti fondamentali e nell’indole. Non va bene, tutto questo. Ma il consenso del popolo è diverso e il rischio sa qual è? Che il Pd sprofondi lentamente, in maniera quasi indolore. Prima 15%, poi 14%, poi 13% fino all’irrilevanza. È sarebbe un problema per il Paese".

Su quali basi un candidato alla segreteria Pd dovrebbe costruire il proprio progetto?

"Dovrebbe mettere al centro l’impegno contro le diseguaglianze sociali e la lotta alle disparità. E poi focalizzarsi su lavoro, salari e guerra. Questo implica che il candidato segretario deve avere ben chiaro la dimensione del conflitto. Ma questi, il conflitto non vogliono e non lo sanno gestire".

Parliamo di candidati: Bonaccini il conflitto lo sa gestire, lo ha dimostrato.

"Lo sa gestire in Emilia-Romagna. Ma fuori, in Italia, al Sud, è in grado di farlo? Saprebbe parlare di autonomia differenziata in Sicilia, lontano dalla tranquillizzante dimensione economica emiliana? Ne dubito".

E invece Elly Schlein?

"Non è in grado di parlare a quelli che sono fuori dal circuito, ai non rappresentati…".

Eppure sembrava proprio il contrario.

"E’ stata una convinzione di voi giornalisti, un abbaglio".

Non mi dirà che anche Nardella è una svista dei media.

"Nardella è un grande sindaco, ma è il portatore di una visione provinciale. Passare da Firenze all’Italia intera non è facile, qualcuno prima di lui ci ha tentato e ha fatto un casino".

Abbiamo esaurito i nomi, non ci rimane che Vincenzo De Luca, un elefante nella cristalleria.

"Le dirò: sarò all’antica, ma meglio lui che gli altri. L’ho conosciuto quando era un oscuro funzionario del Pci, prima ancora che facesse il sindaco di Salerno, e mi colpì la sua serietà. E’ uno che ha ben presente il senso della politica e dei rapporti di forza, e ha una grande capacità di costruire il consenso. È dieci metri sopra gli altri".

E il nepotismo, i figli, gli amici, il Pol Pot di Salerno…

"Una sciocchezza, me ne infischio".