Sabato 20 Aprile 2024

Il sociologo: crisi peggio del Covid. "Sbagliato etichettare la rabbia"

Non solo teppisti e malavita. "Finita la luna di miele tra il governo e gli italiani. Il disorientamento è collettivo"

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Marzio Barbagli, sociologo classe 1938, non si stupisce per le piazze gonfie di rabbia che punteggiano l’Italia. E mette in guardia contro una facile tentazione.

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Quale, professore?

"Etichettare la protesta per le restrizioni anti-Covid solo come risposta violenta e ultrà – in senso politico, calcistico o antagonista – oppure di ispirazione criminale o mafiosa. Sbagliato. Perché queste piazze, peraltro non sempre violente, in parte strumentalizzano in parte interpretano sentimenti di disperazione crescente tra larghi strati della popolazione. Perché una pancia vuota è anzitutto una pancia vuota. E il futuro a rischio aumenta l’instabilità di chi si sente fragile e precario".

Peggio la crisi che il Covid?

"Sì. Ed è un sentimento trasversale. L’ansia per i destini personali accomuna fasce deboli della popolazione, che si sentono sempre più ai margini, ma anche soggetti colti – penso ai lavoratori dello spettacolo – che si domandano come camperanno tra qualche mese. Perché dopo l’illusione estiva di scampato pericolo, maldestramente cavalcata dal governo, tutti hanno ben presente che, anche immaginando di contenere il virus, la situazione generale del Paese e le difficoltà del mondo del lavoro si protrarranno a lungo".

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Siamo passati dalla pomposità degli Stati generali a Villa Doria Pamphilj a temere un lockdown per Natale. Come se ne esce? Secondo il professor Ricolfi, il governo dovrebbe chiedere scusa.

"Raramente gli esecutivi si scusano, e più sono deboli più ne hanno terrore. È chiaro che la luna di miele tra gli italiani e il governo è finita, nonostante l’opposizione non stia cavalcando le proteste di piazza. La ragione non sta solo nei clamorosi errori commessi su tamponi, tracciamento, terapie intensive, trasporti. Risiede anche in una comunicazione improvvisata che promette sostegni e danari a seconda degli umori prevalenti. Si recita senza un piano complessivo, e la gente lo avverte".

Il Covid poteva essere almeno un fattore di snellimento burocratico e di solidarietà, pur nel dolore. Si sta invece disgregando il tessuto sociale?

"Il lockdown, bersagliando indistintamente tutti gli italiani, seppur non causando a tutti le stesse ricadute, era stato accettato come provvedimento doloroso ma equo. Ora prevalgono inevitabili distinguo. Il ristoratore dice allo Stato: perché chiudi i miei tavoli distanziati e poi lasci che i cittadini si accalchino sui tuoi mezzi pubblici? Così il disagio aumenta e la quotidiana recita di protagonismi tra governo, Cts e Regioni completa il disorientamento collettivo. Chi è in cassa integrazione perché non può essere licenziato guarda già al 2021 e si chiede: dove andrò a finire? Nella scala delle priorità, il vaccino viene dopo".

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Se la pandemia peggiorasse, si renderà inevitabile un governo di unità nazionale?

"Gli attuali numeri del parlamento rendono l’ipotesi estrema. E proprio questa cristallizzazione degli equilibri rende più nervoso il Paese. Chi soffre di più si sente prigioniero, anzi accerchiato. Perché sa che non potrà neppure ripartire cercando lavoro all’estero".