
La guerra è un fuoco incrociato che spacca il mondo in due trincee. Tra boati contrapposti la voce della cultura rischia di apparire flebile e di finire inascoltata. "Invece il compito degli intellettuali è proprio quello di sciogliere le tifoserie, evitare che il dibattito si polarizzi", sostiene Emanuele Vietina, direttore generale di Lucca Comics. Nei giorni scorsi la più importante fiera italiana dedicata al fumetto e al gioco è stata segnata dalla defezione di Zerocalcare. "Il patrocinio dell’ambasciata israeliana per me rappresenta un problema – ha spiegato l’artista –, nel momento in cui a Gaza sono incastrate due milioni di persone venire a festeggiare rappresenta un cortocircuito che non riesco a gestire".
Vietina, come ha vissuto questa decisione?
"Stimo moltissimo Michele Rech (nome di battesimo di Zerocalcare, ndr), è un artista di grande valore e una persona sensibile. Rinunciare alla sua presenza è doloroso, ma rispetto la scelta".
Temeva che il patrocinio dell’ambasciata di Israele scatenare questo putiferio?
"Francamente no, e non solo perché la situazione internazionale era diversa. Asaf Hanuka, autore col fratello Tomer del manifesto dell’edizione 2023 (entrambi ieri hanno annunciato la loro assenza a Lucca, ndr), è un intellettuale israeliano che vede la guerra da tutta la vita e invoca la pace. Il patrocinio ci sembrava un fatto positivo e coerente con questo impegno".
Crede che una kermesse da 300mila di biglietti venduti possa diventare un palcoscenico per prese di posizione politiche?
"Siamo sempre tenuti a compiere atti di cultura, quindi politici. Il Lucca Comics è un evento di comunità che dà spazio alla diversità, un luogo di confronto vivo. Può succedere che si aprano dibattiti, ma una tempesta di questo tipo non si era mai verificata. Ad ogni modo, il dissenso è l’unica via per la pace".
Dite di aver "riflettuto molto sulla possibilità di rinunciare al patrocinio" dell’ambasciata israeliana. In che termini?
"La comunità del fumetto ci ha posto una domanda. Ci abbiamo pensato e alla fine il patrocinio ci è sembrato coerente con un percorso di pace".
La cultura deve unire a prescindere o è destinata a dividere?
"Unire nell’intento, nella grammatica, ma deve genuinamente dividere, stimolare. Fare cultura, parlarne senza salire in cattedra, può essere un percorso doloroso".
Peraltro, la guerra, come si è visto per l’invasione dell’Ucraina, non ammette zone grigie. Un artista può non schierarsi?
"È assolutamente lecito schierarsi e avere idee nette".
Fare cultura significa anche dare una propria interpretazione della realtà. Ci sono dei limiti?
"Non parlerei di limiti, ma il lavoro dell’artista prevede delle responsabilità. Il compito di noi operatori culturali è creare occasioni di libertà, partecipazione e scoperta. Come delle levatrici dobbiamo costruire nursery dove esprimere idee nel rispetto degli altri".
In tempi segnati dalla tragedia della guerra, vale per le manifestazioni culturali lo slogan "lo spettacolo deve andare avanti"?
"Secondo me non a tutti costi. Lo show non deve restare uguale a se stesso, ma cambiare interpretando il presente seguendo un’etica comune".
Sulle polemiche relative al patrocinio dell’ambasciata israeliana al festival sono intervenuti anche il ministro Salvini e l’onorevole Fratoianni. Teme strumentalizzazioni politiche?
"Sì. Approfitto dell’occasione per lanciare un appello: lasciateci fare cultura. Rispettiamo le opinioni di tutti, ma non abbiamo bisogno di interferenze. Il nostro compito è problematizzare, non semplificare".