Il rischio di abituarsi all’orrore

Roberto

Pazzi

Com’è strano il passo del tempo. Sono trascorsi solo diciassette anni anche dalle immagini che ci fecero rabbrividire dei bambini di Beslan, capitale dell’Ossezia, dove nel 2004 in un attentato terroristico di matrice islamica, perirono 186 bambini. Ma ne sembrano passati seicento. Tanto viene da temere osservando come lo stupor mundi si sia convertito in apatia davanti ad immagini altrettanto drammatiche di molti altri cadaverini sparsi sulle rive della Libia. La spiegazione, semplice e terribile, è un atto d’accusa verso tutti noi. Ci siamo abituati, ci abbiamo fatto il callo, se si può definire così la metamorfosi avvenuta nelle nostre coscienze.

Ma ci si può abituare all’orrore? E che cosa si rischia nel voltare la faccia dall’altra parte, di fronte alle morti dei bambini, quelle che nel suo capolavoro, ’L’idiota’, facevano dubitare il cristianissimo Dostoevskij della bontà infinita di Dio? E anche questa risposta è semplice. Si rischia la morte della morale, quella capacità di discernere il Bene dal Male che Socrate ha scoperto, alla base del pensiero occidentale, la forma della coscienza che poi ognuno riempirà del contenuto che varia a seconda del suo credo, laico o confessionale che sia. Dalla morte della morale alla barbarie dell’indifferenza verso i valori più alti, come dimostra oggi la pirateria del rapimento in Bielorussia di un giovane difensore della libertà ordinato da un bieco dittatore, il passo è breve. Tanto da non accorgersene neanche.