Giovedì 10 Ottobre 2024

Il ricordo di Dino Zoff: "Semplice e perbene. Pativa Agnelli in tribuna. Gli parlai e si sbloccò"

L’ex tecnico friulano lo allenò alla Juve. Insieme vinsero una Coppa Italia "L’esplosione al Mondiale non mi stupì, andò in Giappone troppo presto".

Il ricordo di Dino Zoff: "Semplice e perbene. Pativa Agnelli in tribuna. Gli parlai e si sbloccò"

La Juve festeggia la Coppa Italia 1990. Da sinistra: Totò Schillaci, Luigi De Agostini, Stefano Tacconi, il tecnico Dino Zoff, Pasquale Bruno e Dario Bonetti

di Leo

Turrini

"Per farlo diventare un grande, mi bastò una conversazione a quattr’occhi. Me lo presi sotto braccio alla fine di una brutta partita. Gli dissi: smettila di pensare all’Avvocato Agnelli che ti guarda dalla tribuna…".

Dino Zoff rimane ("orgogliosamente!") l’allenatore che ha lanciato Totò Schillaci sul palcoscenico della serie A. Stagione 1989-’90. L’ex portiere dell’Italia Mundial guidava la Juventus. Durante l’estate, Giampiero Boniperti aveva vestito di bianconero un attaccante prelevato dal Messina.

"Lui non era giovanissimo, aveva già venticinque anni – ricorda Zoff –. Il nostro era un campionato di stelle, Maradona con il Napoli, Van Basten con il Milan, Matthaeus con l’Inter…".

E la Juve compra il siciliano Schillaci.

"Appunto. Lo pagammo pochi miliardi di lire, cinque o sei. Totò aveva fatto molti gol giù al Sud, ma al massimo livello era una scommessa".

Vinta subito?

"Ma no, anzi".

Non funzionava?

"Io lo allenavo e mi rendevo conto del suo enorme potenziale. In area di rigore aveva l’istinto del bomber, fiutava il gol in anticipo, possedeva il Dna dell’attaccante di razza".

E allora?

"Allora, ecco, Totò sentiva pesare il salto di dimensione. Con tutto il rispetto, il Messina non è la Juventus. Era come bloccato, quasi paralizzato".

La sindrome del provinciale improvvisamente ammesso alla corte del re.

"Una roba del genere. Così un giorno, alla fine di una partita giocata malaccio, decisi di prendermelo in disparte".

Per dirgli cosa?

"Gli indicai la tribuna d’onore dello stadio. Gli spiegai che semplicemente se ne doveva fregare. Non doveva pensare che lo stavano guardando Gianni Agnelli o suo fratello Umberto o Boniperti. Aggiunsi che gli spettatori sono tutti uguali, un vip fa il tifo esattamente come un operaio. Tradotto: in campo ci vai tu, mica i padroni del vapore. E quindi dipende esclusivamente da te".

Beh, severo ma giusto.

"Fu la svolta. Vede, come può ben immaginare di Schillaci mi stanno chiedendo tutti, in queste ore. Io ho il dovere di ricordare un ragazzo semplice, molto perbene, caratterialmente legato alle sue origini siciliane".

L’incarnazione di una rivincita proletaria, sudista, nel cuore del Nord industrializzato.

"Anche, del resto prima di lui alla Juve c’era stato un altro siciliano doc come Pietro Anastasi, bomber pure lui. Ma a me interessava salvaguardare il calciatore".

Ed è stato un friulano ruvido come Zoff a sbloccarlo.

"Ci sarebbe riuscito anche qualcun altro, perché la persona era solida e il giocatore era molto forte".

Insieme avete anche vinto.

"Sì, con la Juventus del 1989-’90 lui fece quindici gol in trenta partite e insieme alzammo la Coppa Italia, vinta contro il Milan di Sacchi, e la Coppa Uefa, conquistata contro la Fiorentina di Roby Baggio".

Subito dopo Totò diventò l’eroe delle Notti Magiche di Italia ’90, tra lo stupore generale.

"Io invece non rimasi per nulla sorpreso".

No?

"No. Come ho detto, avevo intuito il suo potenziale. Vicini, che era il commissario tecnico della Nazionale, condivise le mie convinzioni. Totò arrivò al Mondiale in uno stato di grazia, con la Juve aveva compreso di non essere un giocatore qualsiasi. In maglia azzurra portò via il posto a Vialli, anche lui andatosene troppo presto, e fece quello che sapeva fare benissimo, in area di rigore. Da quando aveva smesso di pensare ai potenti che stavano in tribuna, era tornato libero di essere se stesso. Ed era davvero forte. Con i suoi gol ci portò quasi in finale, fino a quei maledetti rigori a Napoli contro l’Argentina di Maradona".

Zoff, perché Schillaci calciatore è durato così poco al massimo livello? Già a primavera del 1994, dopo essere passato anche dall’Inter, si trasferì in Giappone. Non aveva nemmeno trent’anni.

"Quello fu un errore. Certamente in Estremo Oriente lo pagavano molto bene, ma lui aveva ancora tanto da dare al nostro calcio. Andò via troppo presto".

Forse era stato logorato da quella improvvisa, enorme botta di popolarità.

"Può darsi. A me è dispiaciuto perché ammiravo il calciatore e rispettavo la persona".